Caravaggio naturalista

La luce del vero
Auditorium martedì 25 maggio 2010,  18.15

Nel 1916 Roberto Longhi, prendendo le distanze dall'interpretazione giorgionesca del primo Caravaggio, definiva la pittura di Michelangelo Merisi una "pittura di valori", nella quale «il colore è alieno sia da favolose divagazioni iridate che dalle targhe cromatiche alla tizianesca, sovrapposto in impasti vividi, schietti e delicati, e studiato con diligenza nei trapassi di valore da zona a zona», e, per non lasciar dubbi, aggiungeva «scegliete tutti i bianchi del Cinquecento veneziano ed essi impallidiranno di fronte a questo niveo chiarore, poiché in essi non è chiarore ma soltanto colore, v'è bianco-colore e non bianco-luce. Là un bianco così squillante e diaccio sarebbe discordia cromatica, qui è accordo, nota culmine della scala di valori». Ma, traslando, qual è il "valore" della luce in Caravaggio? Millard Meiss, già nel 1945, sottolinea come sia la rappresentazione della luce ancor più che la prospettiva a rappresentare un progresso nella rappresentazione della realtà (per esempio dall'abbandono del fondo oro, elemento prezioso, simbolo di per sé stesso della luce di Dio). Ma da sempre il "valore" naturalistico della luce sembra congiunto al suo "valore" simbolico: la luce restituisce infatti gli effetti percettibili del reale e al contempo ne rivela il legame con il Trascendente; luce naturale e luce divina sono in un certo senso indistinguibili. Walter Friedlaender nei suoi Caravaggio's studies (1955) sottolinea come a partire dai laterali della cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi - il Martirio di S. Matteo, S. Matteo e l'angelo e la Vocazione di S. Matteo - la pittura religiosa in Caravaggio divenga dominante e come questo porti, paradossalmente, a "una trasformazione della tavolozza che diventa scura" e lapidariamente afferma: "Caravaggio santificò la luce e le diede un significato simbolico". Anche Mina Gregori, nel suo densissimo contributo alla mostra del 2000 Caravaggio, La Tour, Rembrandt, Zurbaràn. La Luce del vero, identifica nella luce un "valore" dominante del naturalismo ma distingue la pittura lombarda e di Caravaggio dalla mimesi veneziana fondata sul colore. Per la Gregori nella rappresentazione della realtà di Caravaggio sono compresenti sia la sua efficace rappresentazione visiva, naturalistica, sia il suo "valore" simbolico, perché strettamente dipendenti. Ciò vale soprattutto, appunto, dai teleri in San Luigi dei Francesi dove al valore materico-percettivo della luce si unisce quello filosofico-teologico e mistico. Se nelle opere giovanili sembra dominante l'anima naturalista del Caravaggio, attratto dall'osservazione della realtà, nel suo aspetto ottico, schiarito della luce, progressivamente il pittore si rivela sempre più orientato a comunicare di quella realtà i significati ultimi, isolati e illuminati dalla luce come con una macchina da presa - così nella Vocazione di S. Matteo, dove un fascio di luce sbattuto sul muro restituisce contemporaneamente con nettezza la perentorietà della chiamata e la reazione interiore di Matteo di fronte a essa. Un altro dipinto emblematico è il San Francesco stigmatizzato (Wadsworth Atheneum di Harthford, Connecticut), che peraltro è uno dei primi dipinti religiosi: qui la luce che si concentra sul santo si manifesta in primis come fenomeno naturale, in assenza di altri segni soprannaturali (sono assenti le stigmate), ma contemporaneamente è luce soprannaturale perché restituisce la presenza divina, l'estasi mistica. Una luce che, prima che illuminazione della realtà, è illuminazione interiore, illuminazione della realtà interiore, secondo la nota lettura di Maurizio Calvesi nel suo capitale volume La realtà del Caravaggio (1990), appunto.

 

film: CARAVAGGIO UN GENIO IN FUGA

regia: Renato Mazzoli

durata: 50'

produttore: Cinehollywood, 2000 - 2009