In un passo dell’Annunciazione narrata dal Vangelo secondo Luca, l’incontro mistico fra Maria e l’angelo termina con un verso di grande poesia e teatralità. «E l’angelo partì da lei» recita l’ultimo brano della scena che chiude il sacro colloquio e vede l’angelo sollevarsi leggero verso il cielo. La Vergine, all’ombra delle ali spiegate, ha appena siglato le sue parole d’ubbidienza: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». Commuovente è l’attenzione particolare che Luca mostra verso i sentimenti umani di Maria, verso il suo turbamento iniziale, i suoi dubbi, la sua femminilità, fragile e insieme volitiva. Ed è proprio la bellezza dell’umanità della Madonna, che emerge dal racconto di Luca, a tornare oggi nella riflessione di un artista contemporaneo, capace di rileggere i passi dell’Annunciazione con una pittura ugualmente leggera e intensa, teatrale e poetica allo stesso tempo, tesa a indagare i moti interiori di Maria, le nubi fisiche (quelle sui cui cala l’angelo dalla calotta celeste) e le nubi mentali, psicologiche, generate dall’annuncio e ferme immobili, a cuscino d’aria, come una nebbia fitta, un vapore denso, intorno ai pensieri di una donna avvolta dal timore, sorpresa dalla fede.
La Galleria San Fedele presenta una mostra dedicata all’iconografia dell’Annunciazione a partire dalla ricerca di Lino Mannocci, autore italiano (Viareggio, 1945), londinese d’adozione, protagonista di un percorso costruito intorno a dialoghi ideali fra le sue opere e quelle di grandi maestri del passato, che hanno affrontato il significato e il mistero dell’annuncio a Maria. Da Dürer a Barocci, da Figino a Sironi.
La mostra personale di Mannocci consente di approfondire nuovi valori espressivi dell’arte sacra, legata alla ricerca sul linguaggio stesso della pittura che trova in Mannocci uno degli autori più sensibili e colti del panorama internazionale. Un ciclo di opere recenti distinte da un lavoro inesausto sulla materia, sulle superfici: le numerose velature che sembrano stratificarsi sulla tela e creare spessori vaporosi come le nuvole che rappresentano. Accanto a scenari teatrali, scatole prospettiche, che ricordano le costruzioni architettoniche del Rinascimento e insieme citano la scenografia immaginata da Luca, ma anche dal Vangelo apocrifo di Giacomo, ecco il percorso punteggiato di richiami. All’Annunciazione incisa nel legno da Dürer con la sua fuga di archi nella profondità dello spazio e le posture dei personaggi fermi nell’attesa. O all’Annunciazione grafica di Barocci e la sua parete spalancata sul paesaggio naturale. O, ancora all’Annunciazione di Sironi, con le sue figure statuarie, dai panneggi petrosi cui Mannocci dedica per l’occasione un d’après nei toni del fumo e della cenere, dal segno scavato nel colore gessoso. A completare il dialogo: una miniatura francese di inizio Cinquecento e una pala d’altare di Ambrogio Figino in cui l’iconografia dell’Annunciazione approda a quella dell’Incoronazione e della Trinità, ultimo passo della vicenda mariana, cui Mannocci, a sua volta, riserba un nucleo di lavori in cui il significato teologico incontra l’iconografia classica. Le tre grazie, proiezione della Trinità secondo S. Agostino e il suo De Trinitate, completano un racconto fatto di sguardi, gesti e sentimenti angelici.