Michelangelo e il suo “Giudizio”
Nella Cappella Sistina a Roma, la vigilia di Ognissanti del
1541, è inaugurata l’opera che, unitamente alla volta affrescata alcuni decenni
anni prima, si è radicata nella cultura e nella spiritualità della civiltà
occidentale. In tale data, infatti, infatti, Il Giudizio Universale di
Michelangelo è scoperto.
L’intera parete rivela le tensioni filosofiche e teologiche
di un’epoca, attraversata dai fermenti della Riforma protestante. Il Buonarroti
si pone in modo personalissimo nei confronti di questo dibattito, sposando le
teorie di un circolo ristretto di intellettuali che auspicava una
riconciliazione fra Cristiani dopo una riforma interna della Chiesa stessa.
L’intera opera di Michelangelo potrebbe essere quindi letta come il campo di
battaglia del dramma di un’epoca e contemporaneamente la rivelazione di una
profonda angoscia verso il momento del Giudizio.
La grandiosa composizione ruota attorno alla figura
dominante di Cristo, colto nell’istante precedente a quello in cui sarà emesso
il verdetto finale, Il suo gesto, imperioso e al tempo stesso pacato, sembra
dare l’avvio a un movimento rotatorio in cui sono coinvolte tutte le figure.
Nella fascia sottostante, al centro, gli angeli dell’apocalisse risvegliano i
morti al suono delle trombe. A sinistra, i risorti salgono verso il cielo,
“rivestendosi” di carne. A destra, angeli e demoni fanno precipitare i dannati
nell’inferno. Infine, in basso a destra Caronte, a colpi di remo insieme ai
demoni, fa scendere i dannati dalla sua imbarcazione, per condurli davanti al
giudice infernale Minosse, con il corpo avvolto dalle spire del serpente.
La scena è priva di partizione architettonica ed è retta da
un doppio vortice, ascendente e discendente. La figura generatrice della
composizione è l’ellisse, come la mandorla luminosa in cui è inscritto il
Cristo, che si appresta a porre un nuovo inizio alla nuova “Storia”, in un
unico gesto che rimanda a quello primario del Padre nella creazione nell’Uomo.
Tuttavia, è la massa umana rappresentata in una cruda fisicità attraverso
l’utilizzo di tinte fosche a dominare lo spazio, a frazionarlo, a fungere da
indice barometrico per poter comprendere a fondo gli stati d’animo
dell’artista, che di lì a breve avrebbe cominciato un’appassionata
corrispondenza con Vittoria Colonna, a cui comunicò il proprio disagio
interiore di fronte all’esperienza, ormai vicina, della morte.