Il termine land grabbing (“terra carpita, accaparrata”)
è stato introdotto nel 2008 dall'organizzazione non governativa GRAIN (Genetic
Resorces Action International) e si riferisce agli accordi aventi a oggetto
l’acquisto di milioni di ettari di terreno nei paesi poveri da parte di
multinazionali dell’agribusiness, di potenti gruppi finanziari o di agenzie
governative straniere, principalmente appartenenti a paesi quali l’Arabia
Saudita, la Cina, la Corea del Sud, il Qatar, gli Emirati Arabi.
Dopo la crisi economica del 2008, l’acquisto
della terra si è infatti rivelato una possibilità di investimento sempre più
redditizio e sicuro, a causa di molteplici fattori economico finanziari. Tale operazione – che in Africa vede coinvolti paesi come il Madagascar, il
Ghana, il Mozambico, il Sudan e l’ Etiopia – non mira certo a “nutrire il
pianeta” (come vuole il titolo dell’Expo di Milano) bensì ad arricchire le
multinazionali che investono e ad avvantaggiare i paesi ricchi. Il land grabbing
si presenta insomma come un’ultima versione del neocolonialismo, che priva della loro terra i pastori e i
piccoli coltivatori locali, oltre a comportare l’abbattimento di foreste e il
sequestro delle zone di pascolo, l’erosione del suolo, l’accaparramento
dell’acqua e la perdita della biodiversità.
La ricerca di Alfredo
Bini – che si è concentrata, a titolo d’esempio, sull'Etiopia, l’Arabia Saudita
e gli Emirati Arabi – ha voluto documentare tale complessa e problematica
realtà attraverso un’indagine approfondita, in cui la fotografia, accompagnata
da ampi testi esplicativi, si nutre di
uno sguardo lucido, proteso a comprendere le cause e lo sviluppo di questo fenomeno. Le sue
immagini, simili a precisi tasselli, mostrano infatti la distruzione in Etiopia
delle foreste e dei pascoli, per fare posto a serre e a campi destinati alle
palme da olio e alla canna da zucchero, per poi spingersi fino a Dubai e in
Arabia Saudita, dove vengono esportati i vegetali prodotti in Etiopia nelle terre divenute
proprietà Saudita. Tutto questo in un paese come l’Etiopia dove 6 milioni di
abitanti possono sopravvivere alla fame solo grazie agli interventi delle
Nazioni Unite.
Il fotografo ha deciso di accompagnare le sue immagini – solo apparentemente “tranquille” – con
una serie di precise informazioni che ci permettono di cogliere tutta la
gravità del fenomeno in corso. Ed ecco allora che quelle stesse immagini
vengono ad acquisire una drammaticità, un’intensità che a prima vista non
avremmo attribuito loro. Leggendo e insieme guardando, ci rendiamo conto
infatti che dietro situazioni agresti fintamente “idilliache” si cela invece
l’esproprio della terra nei confronti di comunità indifese, in quanto prive dei
necessari documenti scritti per attestare il possesso della terra (per molte
popolazioni era infatti il diritto consuetudinario a fare legge); si apre la strada a un utilizzo privato
dell’acqua che penalizza pesantemente le popolazioni locali; si disgrega l’agricoltura
tradizionale, basata sulla diversificazione, per favorire una monocultura
pensata solo per l’esportazione.
Ecco dunque che cos'è il land grabbing – ci
dice Alfredo Bini: una devastante politica alimentare basata sull'accaparramento della terra altrui.
Gigliola Foschi