Nella storica chiesa di San Fedele, che già accoglie opere di Lucio Fontana, come la pala del Sacro Cuore e la splendida Via Crucis, tre monocromi dell’americano David Simpson sono stati collocati nel presbiterio che, tradizionalmente, nel simbolismo dell’edificio ecclesiale, rappresenta l’escaton, la Gerusalemme celeste, la città meravigliosa della fine dei tempi, dove regna la luce. E questi dipinti si mostrano come modelli straordinari di specchi gettati sul cielo, grandi superfici riflettenti, in grado di assorbire la luce, per poi irradiarla e diffonderla nello spazio circostante. Guardando attentamente la tela, notiamo come la pennellata abbia direzionalità differenti. L’angolo di incidenza del pennello cambia continuamente. La tela si presenta come superficie di un solo colore. Tuttavia, appare sempre mutevole e provvisoria. La luce del giorno, infatti, muta minuto dopo minuto, istante dopo istante. I riflessi luminosi variano, senza sosta, in maniera sempre nuova. La superficie del quadro contiene infinite immagini. Immagini inafferrabili di luce, sempre cangianti, mutevoli. I dipinti si fanno immagini dell’infinito nel finito. Tutto si fa qui movimento. La visione cambia continuamente. La superficie del quadro sembra scomparire, diventando vibrazione di luce. Il nostro sguardo intravede sempre un “ulteriore”. La scelta dei colori è stata fondamentale. Sono stati infatti individuati colori che nell’iconografia tradizionale sono entrati nella nostra cultura religiosa. L’oro, il rosso e l’azzurro/argento suggeriscono infatti i colori del Padre (vedi, per esempio, i fondi oro dei mosaici bizantini o delle tavole medioevali, simboli del divino, della presenza di Dio che avvolge la storia dell’uomo), del Figlio (il rosso è il colore del sangue e al contempo della regalità del Figlio di Dio) e dello Spirito (l’azzurro è il colore del cielo, del vento, del soffio).