Piero Della Francesca
pittore del silenzio
Auditorium 24 novembre 2009, ore 18.15
Conferenza introduttiva a cura di Chiara ParaticoSi ringrazia: Cinehollywood, editore del filmato
Si«Egli lasciò nel mondo della pittura la creazione di una forma monumentale, così nella composizione convergente verso il foco prospettico, come nei particolari singoli delle figure definite imperativamente in pose statuarie, in gesti sospesi, in tutto quel complesso mimico che è stato scambiato a volte per impassibilità, superbia, ieratismo, mentre non è altro che il portato inevitabile della poesia prospettica, la poesia di un mondo cristallino e assoluto», così Roberto Longhi nella sua Breve ma veridica storia della pittura italiana (1914) introduceva i suoi allievi alla magia della pittura di Piero della Francesca.
Non sono molte le opere giunte fino a noi di Piero di Benedetto dei Franceschi, rivoluzionario pittore del Quattrocento italiano, nativo di Borgo San Sepolcro e allievo a Firenze di Domenico Veneziano. Nel paese natale, a metà '400, Piero affresca la celebre Resurrezione, "ove il Cristo e i guardiani formano insieme una composizione piramidale: corpi umani inamovibili, in una relazione architettonica", ma non solo. Il Salvatore è rappresentato al centro esatto della composizione, a segnare il passaggio dall'inverno - gli alberi spogli a sinistra - all’estate - gli alberi rigogliosi a destra - il trasformarsi della notte dei soldati dormienti nell’alba che sorge alle Sue spalle. Un'immagine di vittoria sulla morte, in un dipinto costruito con una geometria "spirituale".
Ma, una delle creazioni anche più "assolute" di Piero è il ciclo con le Storie della Croce, dipinte nel 1452 nel coro di San Francesco di Arezzo. Le scene non seguono un ordine cronologico, obbediscono piuttosto al rigore prospettico. Più volte il pittore dipinge in uno stesso riquadro due momenti differenti della medesima "storia", dividendo le scene con un elemento geometrico, ma congiungendole contemporaneamente con la prospettiva. Nello spazio, tuttavia, ciò che spicca è la monumentalità della singola forma, isolata in una posa statica e sospesa; forma che attraverso la luce e il colore a un tratto diventa superficie. L'episodio del Sogno di Costantino è una geometria di masse, colori, piani di luce. Il ciclo aretino rivela dunque in tutto il suo fulgore la maturità stilistica del pittore ed è databile verso gli anni '60. Negli stessi anni Piero dipinge anche i ritratti di Battista Sforza e Federico da Montefeltro, apici della sua arte e della sua rivoluzione pittorica. Due volti di profilo che, accanto all'impietoso scrupolo ritrattistico, all'amore tutto fiammingo per i dettagli del paesaggio sullo sfondo, manifestano il prioritario intento di trasfigurazione e idealizzazione, per la strenua obbedienza alla regolarità della forma. Regolarità e primato della forma cui è funzionale e "servile" anche la luce. Il volto della duchessa Battista, dall'incarnato pallido e levigato, appare imperturbabile, in ricercato contrasto con l'arzigogolata acconciatura che le ridona una certa vanità femminile. "E quale senso struttivo di forme regolari anche nel Federigo - sono parole di Longhi - nella scelta del berrettone tondo, nel declivio poderoso del mento, nell'immobile torreggiare del busto sul paesaggio!". Per il critico fiorentino questo il senso della rivoluzione di Piero, quel valore classico, assoluto, spirituale, della "sintesi prospettica di forma e colore".