Con la mostra Angeli.
Il segreto della luce, Valentino Vago ritorna alla Galleria San Fedele con
una serie di opere recenti. Il titolo non è casuale. Sia perché riprende quello
della sua ultima esposizione al San Fedele, che risale ormai al 1992, sia per
il fatto che con queste opere porta alle estreme conseguenze la sua poetica
pittorica, nel desiderio di creare, attraverso un’estrema «purificazione» del
colore, spazi di assoluta purezza e trasparenza.
Angeli. I nuovi lavori di Vago sembrano porsi come
messaggeri del divino che dischiudono le porte dell’eternità, accompagnandoci
in un mondo immateriale, in cui ogni limite terreno appare superato e vinto. In
questo senso, l’artista lombardo appare erede dell’estetica bizantina.
L’infinito irrompe nel finito. Come se il cielo scendesse verso la terra, per
abbracciarla, avvolgerla. La superficie bidimensionale della tela è cancellata,
annullata, eliminata. Per Vago, non si tratta di contemplare uno spazio ma di
viverlo, di abitarlo, quasi il cielo potesse diventare la nostra dimora.
Attraverso il sapiente uso e accostamento di gialli, di azzurri, di bianchi,
tutto sembra dissolversi nella pace di una luce metafisica. Se si percepisce
una tensione, questa si risolve in un mondo di trascendenza che innalza l’umano
a una luce immutabile, senza divenire. Di fronte alle sue opere, viviamo in una
stasi assoluta. È come un tuffo nell’intemporale. Solo ciò che è senza
movimento - sembra suggerirci Vago - appare perfetto. Sono visioni immobili,
trasparenti. Icone di vita desiderata e pienamente raggiunta. Lo spazio della
tela appare dipinto dalla luce, perché l’assoluto non risiede in un luogo, ma
sembra diffondersi dappertutto, occupando la totalità dell’estensione spaziale
e temporale. Questo spazio si trasforma nella manifestazione di una teofania
divina che mostra la bellezza solare delle origini che ci attende alla fine dei
tempi. In un momento di grande indecisione riguardo gli esiti dell’arte
«sacra», le opere di Vago si pongono come ricerche originali che, di certo,
suggeriscono spunti che attendono ancora di essere pienamente riconosciuti e
sviluppati nei risvolti liturgici, negli spazi ecclesiali. Andrea Dall’Asta SJ