Nella Polonia alle soglie degli anni Cinquanta, la giovanissima Zula viene scelta per far parte di una compagnia di danze e canti popolari. Tra lei e Wiktor, il direttore del coro, nasce un grande amore, ma nel '52, nel corso di un'esibizione nella Berlino orientale, lui sconfina e lei non ha il coraggio di seguirlo. S'incontreranno di nuovo, nella Parigi della scena artistica, diversamente accompagnati, ancora innamorati. Ma stare insieme è impossibile, perché la loro felicità è perennemente ostacolata da una barriera di qualche tipo, politica o psicologica.
Commenti del pubblico
VOTO: da premio
Pellicola per amanti del cinema come mezzo di riflessione storica ed umana questa di Pawlikowski. Una grande regia ci racconta dell'amore di due persone che vivono nella loro situazione tutti gli elementi negativi di regimi autoritari e di blocchi contrapposti di Nazioni.
Pressioni psicologiche e non per ottenere l'omologazione ideologica, norme di comportamento severissime, case di correzione dove le mani di un pianista sono rotte senza pietà, sequestri di persona in luogo pubblico, sono alcuni degli elementi che ci descrivono l'atmosfera da guerra fredda che vigeva in Polonia negli anni '50 e '60. Ma anche teatri bui e locali fumosi, dove l'alcool va a fiumi, sia in Occidente che al di là della cortina di ferro, sono altri segni della situazione in cui i protagonisti vivono la loro storia d'amore, che non riuscirà a essere compiuta, se non nell'atto finale della rinuncia e del suicidio. Personalità disturbate dalla società e dalla sua incapacità di offrire pace e sviluppo, Wiktor e Zula sono come agnelli sacrificali al Dio della ideologia della potenza militare e della sopraffazione.
Splendido il montaggio, ottima la sceneggiatura, super la fotografia, eccellente il sonoro sopratutto musicale, che presenta alcuni cammei degni di nota.
Valori umani molto ben trattati. Un film splendido per iniziare una nuova stagione del Premio San Fedele.
Giulio Koch
VOTO: buono
Una storia d'amore déjà-vu con incontri, scontri, rincorse anche fuori tempo, sullo sfondo della guerra fredda tra Polonia, Berlino, Parigi e la Jugoslavia. Diversa la narrazione cinematografica, nuova, moderna che alterna stacchi temporali a pagine nere di sospensione che sprofondano lo spettatore nel vuoto per poi riprenderlo e riportarlo in un nuovo capitolo della storia. Dopo aver cercato e trovato la libertà dal regime, si torna in patria subendo anche una detenzione che però non affievolisce la passione amorosa tra i due protagonisti e, come una morsa profonda, li spinge a scegliere un legame eterno che verosimilmente ha il sapore della morte.
Chiara Ghioni
VOTO: ottimo
Menzione per la regia e se esistesse la menzione per il montaggio vorrei anche quella.
L’amore, direi assoluto, fra Wiktor e Zula vive un destino avverso, che li costringe a non stare quasi mai insieme. La Guerra Fredda è sempre sullo sfondo, incombente, determinante. La musica ha un ruolo primario, è il motore che alimenta questo amore e rende indivisibili due persone divise.
Regia e montaggio: un lavoro di squadra superlativo. Dialoghi ridotti al minimo, sviluppo della trama quasi suggerito, non esplicito. Non mi è sembrato un film sentimentale; è un film intimo, personale, rigoroso. Il bianco e nero si addice a questa storia ed allo stile con cui viene raccontata. “Staremo insieme sempre e ovunque, fino alla fine del mondo”.
Alessandra Casnaghi
VOTO: da premio
È un inizio sereno quello del film di Pawlikowski, racconta di musicisti in viaggio per la Polonia, impegnati a registrare e catalogare il patrimonio folcloristico del Paese, per ricostruirne l'identità nazional popolare - non solo individuale come in "Ida" - dopo i terribili anni della II Guerra Mondiale. Giovani cantanti e ballerini sono selezionati e preparati ad esibirsi in patria e nei "paesi fratelli". È il tempo della "guerra fredda": Mosca impone le sue regole ai Paesi dell'Est e l'ossequiente Partito Comunista locale instaura un clima di sospetto e di delazione che, come aria irrespirabile, avvelena i rapporti individuali, limita e censura gli artisti fissando temi e canoni affinché nessuna occasione sia persa per tenere vivo il culto della personalità di Stalin. Eppure, rivelatore di un aspetto sottaciuto dell'identità nazionale, anche lo zelante funzionario del Partito entrato per caso in una chiesa diroccata, isolata nella campagna, non può fare a meno di levarsi il cappello: la cupola crollata apre allo sguardo direttamente il cielo e sulla parete due occhi sgomenti, tracce di un affresco, sembrano guardare un'umanità spaventata. In questo contesto, su questo sfondo, prende l'avvio la storia d'amore del musicista e della giovane donna: lei ricattabile per essersi ribellata a un abuso, lui insofferente dei limiti che il Partito pone alla sua arte. Non resta che la fuga, l'esilio che forse è libertà, ma anche sradicamento, spaesamento e la donna non lo accetta. E così la loro storia, intatto il desiderio l'uno dell'altro, diventa problematico incontrarsi e sfuggirsi, da Varsavia a Berlino, a Zagabria a Parigi... Troppo grande la sofferenza se non sono insieme; troppo difficile, nonostante la generosità reciproca, vivere insieme in pace. C'è qualcosa di "folle", di "sacro" nel loro tormentato amore, ha relazione con qualcosa che avvertono come superiore e che non possono dominare. Lo dice il regista, riportando con le immagini finali i due protagonisti nella chiesa isolata nella campagna, dove celebrano un loro matrimonio, dichiarano un legame indissolubile e aspettano insieme la morte.
Miriam Mazzoleni