I figli del fiume giallo
San Fedele 1
Auditorium 7 novembre 2019, ore 15.15 e 20.45
Regia: Jia Zhangke
Film
2019
Italia
Datong, 2001. Qiao e Bin gestiscono una bisca, finché un agguato attenta alla vita di Bin. Per salvarlo Qiao spara in aria e viene arrestata. Uscirà di prigione cinque anni dopo, ma Bin ha cambiato vita a Fengjie e non vuole più vederla.
Commenti del pubblico
VOTO: buono
Un film che procede per quadri: apparentemente chiusi su se stessi, sospesi in una storia che solo alla fine trova spiegazione ma non compimento. Quasi un unico contenitore di avvenimenti che percorrono diciassette anni di storia cinese attraverso il passaggio da una società che affida la propria sopravvivenza alla vita della miniera per poi spostarsi al tempo dei treni ad alta velocità. Protagonista una coppia di innamorati legati alla criminalità, che li fa sentire fratelli e a cui devono rendere ragione. Un legame che lei protegge fino al sacrificio e a cinque anni di prigione e che lui dimentica, dandosi a un’altra donna, ma che poi recupera in un finale ancora incerto e drammatico.
Film che tiene insieme amore e cambiamento, allegria e disperazione. Centrale la figura di Qiao, donna forte, determinata e sempre in cerca della verità.
Luisa Maria Alberini
VOTO: buono
Una storia d'amore e di potere con un filo conduttore che attraversa i cambiamenti del paese cinese dell'ultimo ventennio, nello spazio di un paesaggio mutevole e nel tempo che lo accompagna. Il maschile e il femminile si differenziano per poi copiarsi nello jianghu, la mafia cinese che adotta un codice d'onore e un senso di fratellanza, che sembrano non mutare nel tempo. Un film di forti contrasti, dove poi non è così chiaro quale sia il destino finale cui tendere, sia per i protagonisti che per il paese.
Chiara Ghioni
VOTO: buono
Pellicola complessa questa di Jia Zhanghke: i temi e le letture si sovrappongono con continuità e rendono difficile la lettura dello spettatore. C'è il piano della storia personale dei due amanti che vivono un rapporto di amore-possesso che vede le parti alla fine invertite rispetto all'inizio. C'è poi il parallelo con l'evoluzione traumatica della società cinese che passa in pochissimo tempo dalla ruralità all'industrializzazione selvaggia e poi al capitalismo globalizzato senza soluzione di continuità. C'è infine il percorso del regista che rivive passi della sua storia nel film e ci riflette sopra. Coadiuvato da attori di primo piano (bravissima Tao Zhao), e da una fotografia scintillante, il regista fa giocare i protagonisti con i tre temi in modo naturale ed immediato e ne esce un affresco molto interessante, in cui il vecchio ed il nuovo convivono a dispetto della tecnologia, in cui i sentimenti sono i pilastri del vivere, in cui i principi dello jianghu vengono assunti da Quiao ben al di là dello stretto percorso della piccola mafia cinese, e assurgono a valori superiori.
Sceneggiatura nervosa ma efficace, dialoghi non sempre all'altezza, sonoro coinvolgente, valori umani ben scavati e descritti, regia che si concede qualche pausa nel ritmo già non elevato della pellicola. Comunque un lavoro interessante.
Giulio Koch
VOTO: da premio
Stanzialità e dinamicità di storie umane, con rimandi a vissuti precedenti, sono collegate nel film ai luoghi indagati ma anche riferite a soglie temporali entro le quali le decisioni, nel bene e nel male, si alternano molto velocemente. Le responsabilità effettive sono, a volte, assunte da altri come proprie. Amori, abbandoni e ritorni, stanzialità e spostamenti si alternano nel racconto come conseguenti ad improvvise decisioni. Decisioni di responsabilità, non proprie, che conducono al carcere. Stanzialità ed equilibri consolidati nel tempo, di tranquilli paesi, demoliti o allagati. La dinamicità nelle decisioni richiede anche tempi di comunicazione e di percorrenza brevissimi, che attraversino gli enormi territori, portano così a realizzare anche nuovi treni velocissimi (fino a 500 Km/ora). Nei protagonisti grande è la tentazione di ritornare a situazioni precedenti agli errori fatti. Errori che poi hanno condotto, anche perché sommate alle più grandi trasformazioni di tutto il paese, ad impreviste conseguenze. La pur breve soglia vissuta ed attraversata all’interno di un’accelerazione non colta, mentre si andava realizzando, produce ripensamenti e nostalgie ma anche separazioni inevitabilmente definitive.
Adele Bugatti Di Maio
VOTO: buono
Menzione per la regia.
Sono rimasta colpita dai luoghi, per me forse i veri protagonisti del racconto. Sono ambienti lontanissimi dalla mia cultura, dalle mie abitudini quotidiane. Li ho come sempre osservati con curiosità, notando, nel lungo procedere dei fatti narrati, piccole trasformazioni, piccoli collegamenti al mondo occidentale, ma anche evidenti conferme, situazioni inalterate nonostante lo scorrere di quasi due decenni. Il film conduce davvero ad una riflessione sullo spazio e sul tempo. L’ultima scena, vista attraverso una telecamera, mostra la protagonista ed il suo mondo colmi di malinconia. Qualcosa si è perduto. Qualcosa continua. Un film che mi ha molto interessata, ma che ha avuto i primi 20-30 minuti un po’ lenti. “Dobbiamo sfidare queste tigri di carta. Noi combatteremo i capitalisti fino alla fine”.
Alessandra Casnaghi
VOTO: buono
Sullo sfondo della Cina moderna, che cambia velocemente e rincorre l'Occidente generando luoghi stranianti e animi destabilizzati, si svolge la storia di una relazione tra un uomo e una donna, una storia di non-amore, complessa e contorta, di non reciprocità di sentimenti. Tutto procede bene finché il boss malavitoso Bin è ricco e potente, ma quando viene battuto dai colpi della sorte si rivela per quello che è veramente: amorale, egoista, sfruttatore, opportunista. L'ex-compagna Qiao, che già gli aveva salvato la vita da un attentato, con la disposizione all'accoglienza e uno spirito di abnegazione tipicamente femminile, resta impigliata in questa relazione ormai esaurita e, benché il suo cuore sia ormai chiuso, non si tira indietro, ma anzi si adopera e si prodiga con il suo aiuto prezioso per spronare Bin, colpito da un ictus, a riprendere il controllo delle gambe. Il finale è emblematico: Bin può finalmente camminare, ma per abbandonarla ancora una volta e lasciarla di nuovo sola. Grido d'allarme di una Cina dalla tradizione millenaria che ha perso la sua anima.
Lucia Donelli
VOTO: ottimo
Il film mi pare ottimo, anche se con alcuni aspetti problematici e che, almeno a me, sono risultati di non immediata comprensione.
Infatti mi è piaciuta la bellissima storia d’amore, ben recitata e ben fotografata. È una storia di amore universale, nel senso che potrebbe verificarsi tale quale pure in altre parti del mondo, diverse dalla Cina. Però questo è anche un po’ un aspetto critico del film, a mio avviso, in quanto la vicenda non appare integrata con la Cina in sé, ossia la psicologia cinese, l’ambiente cinese, e così via rimangono estrinseci alla vicenda, non la impattano in misura apprezzabile, manca sostanzialmente un collegamento.
Forse anche perché sono stati inseriti spezzoni di film precedenti e quindi non del tutto amalgamati col film attuale, gli avvenimenti che riguardano la chiusura della miniera, le belle fotografie di minatori e di contadini, la stessa figura del padre della donna, i panorami, ecc. non incidono sostanzialmente sulla storia tra i due protagonisti.
Un’altra osservazione riguarda il tipo di amore che ci viene presentato. Non solo è un amore unilaterale di lei nei confronti di lui, ma pare anche un amore puramente spirituale, disincarnato, asessuato: in tutto il film non c’è un minimo accenno a rapporti sessuali tra i due, non ricordo nemmeno un bacio, neanche sulla guancia, forse solo qualche volta mi pare si tengano per mano… Eppure lui, almeno nella prima parte del film, visto che da parte sua sembra mancare l’affetto e il desiderio di formare una famiglia che invece lei mostra, si desume sia verosimilmente legato a lei con un legame sostanzialmente di tipo carnale (oltre che di tipo lavorativo nella sala giochi e da ballo…). E tuttavia non si vede alcun contatto fisico. Penso che ciò non sia un caso, ma forse il regista voglia in qualche modo sottolineare la spiritualità dell’amore di lei… io almeno l’ho interpretato in questo modo; spiritualità che peraltro risalta ancora di più per il contrasto col suo modo di fare piuttosto deciso, senza scrupoli e anche immorale che manifesta in parecchie occasioni.
Questo aspetto spirituale mi pare ulteriormente evidenziato sia nelle due scene in cui lei ascolta appassionatamente, con commozione, la bella canzone d’amore sia nella scena in cui lei scende dal treno: lascia quello “strano” compagno di viaggio che aveva anche abbracciato - unico contatto fisico in tutto il film -, rinuncia ad iniziare un’altra storia con lui, forse questa volta di amore carnale, e si avvia verso casa guardando la notte stellata percorsa da luci misteriose forse di UFO, può darsi evocazione o immagine del suo amore ideale, puro e, appunto, alieno da contaminazioni terrestri e terrene.
Infine - terza osservazione, sulla scena finale del film - quando lui se ne va, lei lo cerca e rientra in casa, ed in quel momento la telecamera da poco installata la inquadra per pochi istanti prima della fine del film, dando come l’idea che ella sia rimasta chiusa e imprigionata nella stanza, ormai definitivamente sola e abbandonata dall’uomo oggetto del suo grande amore unilaterale che è scomparso in maniera irreversibile, direi in contrasto con le parole della canzone che parevano lasciare aperta una possibilità ed un po’ di speranza.
Per concludere, una curiosità: sono stato in Cina recentemente e in due settimane vi assicuro che non ho mai visto tanti fumatori come nel film, anzi tutt’altro…
Emilio Podestà
VOTO: ottimo
Il film innanzitutto ci permette uno sguardo sulla Cina di oggi attraverso i rimandi al passato e il muoversi dell'obiettivo sugli scenari naturali. La vicenda ci permette di entrare in un mondo di relazioni, di affetti e di non affetti pesantemente influenzati dal contesto. Ci sono i valori passati che però convivono con un regime duro e c'è un nuovo materialismo, quello del mondo della modernità. La donna, in questo scenario, mostra una forte dedizione, un legame che appare paradossale, ma che sa dare un senso alla vita. Una lunga permanenza in carcere per un gesto che sembra alto e innocuo ci danno le dimensioni di questo donarsi. Lui è apparentemente il forte, il dominatore, ma è quello che ha più bisogno di profondità e purtroppo solo la situazione di infermità sembra favorirla.
Andrea Florio