Genere:drammatico
Durata:106'
Biglietto:€ 5.00

Il giardino di limoni

Lemon Tree
San Fedele 3
Auditorium 16/10/2009 20.30

regia di E. Riklis, sceneggiatura di S. Arraf, fotografia di R. Klausmann  con H. Abbass, A. Suliman, 106’, Israele/Germania/Francia, 2008.

 

Eran Riklis Productions
2008
Israele

Dopo aver affrontato il dramma del conflitto tra Israele e Siria nel precedente La sposa siriana, Riklis ritorna sullo stesso tema ma cambia il punto di vista. Se prima era il matrimonio, simbolo di unione pacifica per eccellenza, a portare con sé le conseguenze tragiche di una guerra in corso, ora sceglie una discordia tra vicini di casa. E quando si vive in Cisgiordana, a due passi dal confine israeliano, non è mai solo una bega condominiale. Qui lo sguardo delle due donne antagoniste, una israeliana e l’altra palestinese, sorregge il peso della Storia: Salma è una donna umile, legata radicalmente al fluire della natura, che la rincuora dandole il frutto della sua pazienza e del suo amore e Mira ha abitudini occidentali, è molto curata e, come spesso accade alle mogli dei politici, si occupa di organizzare lussuose feste di ricevimento. I limoni di Salma fanno parte della sua persona, vivono nel ricordo dei genitori e del marito defunto. Nella lettera del ministro, inviata per “suggerirle” di sradicare gli alberi, è racchiusa la diversità tra i due contendenti: l’avviso è scritto in ebraico e Salma non sa leggerlo. I caratteri grafici di una lingua che la donna non parla e non sa decifrare, sono metafora di una mentalità molto diversa dalla sua. Quelle lettere che lei non sa comprendere sono il codice da interpretare per confrontarsi con l’Altro, con il persecutore; per arrivare a un compromesso pur sapendo benissimo che, per onorare se stessa e le sue origini, non dovrà cedere ad alcun tipo di risarcimento. Se il giardino di limoni non esistesse più, scomparirebbe anche lei.

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Nato a Gerusalemme, cresciuto tra gli Stati Uniti, il Canada e il Brasile, Eran Riklis si è diplomato alla National Film School di Beaconsfield, in Inghilterra, nel 1982. I suoi film, acclamati da pubblico e critica di tutto il mondo, lo hanno reso uno dei più conosciuti registi israeliani contemporanei. Tra i suoi titoli ricordiamo On a clear day you can see Damascus (1984, suo film d’esordio), Cup Final (1992, presentato a Venezia e Berlino), Zohar (1993, il più grande successo del cinema israeliano degli anni novanta), Vulcan Junction (2000), Temptation (2002) e La sposa siriana (2004), distribuito in tutto il mondo e vincitore di 18 riconoscimenti internazionali. Oltre ai film per il grande schermo, Riklis ha diretto e prodotto documentari e serie televisive molto noti in patria, tra cui vanno menzionati The Truck, Cause of Death: Murder, Lucky, The Poetics of Masses , Borders. All’attività di regista, inoltre, ha affiancato negli ultimi anni anche quella di produttore per il cinema, con film come Until Tomorrow Comes (2004), Three Mothers (2006), Burning Muki (2008). Il giardino di limoni è il suo ultimo film, accolto con entusiasmo al Festival di Berlino del 2008 e vincitore del Premio del Pubblico.

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Scheda (de)genere

a cura di Andrea Lavagnini, Francesca Mazzini e Giuseppe Zito S.I.

invia le tue integrazioni a sf3@sanfedele.net

Introduzione

È la seconda volta che il regista Eran Riklis, israeliano nato a Gerusalemme ma cresciuto tra Stati Uniti, Canada, Brasile e UK, affronta un tema di politica internazionale attraverso una metafora tratta dalla quotidianità: la vita familiare ne La sposa siriana e il buon vicinato ne Il giardino di limoni. In questo caso lo fa soprattutto avvalendosi anche visivamente di palizzate, recinti e muri vari, talvolta anche solo invisibili. Vale la pena prestare attenzione all’escalation di divisione a cui assistiamo nel film e alle sue conseguenze nefaste per entrambe le parti.

Anche il titolo originale, Lemon Tree, fa riferimento all’albero di limone. Evidentemente si tratta di un simbolismo importante nel film. Mentre lo guardate provate a pensare ai suoi possibili significati.

Elementi di senso

Al centro del film ci sono evidentemente le due donne, caratterizzate molto abilmente in modi opposti. La donna israeliana è sofisticata, colta, ricca, ma anche sola, infelice, tradita dal marito e lasciata da parte nelle decisioni, nonostante all’inizio si illuda che non sia così. La donna palestinese è povera, con scarsa educazione, ma dotata di un’eleganza naturale, rimasta vedova e costretta a un’impossibile fedeltà, anche lei sola, ma non del tutto.

Le figure femminili sono rappresentate con grande realismo ed essenzialità, sia nella vita interiore che nella quotidianità. La chiave del film è rappresentata dalla frase: “La mia vita è reale”. Il resto è prevaricazione: Salma e Mira sono oppresse dal potere maschile.

Nel confronto fra le due figura femminili Salma è presentata come una donna di “affetti”, mentre Mira, in fondo, vive senza amore.

È molto apprezzabile la sensibilità del regista nel dipingere le figure femminili: Salma vive l’assenza che l’accompagna costantemente, quella del marito; Mira è oppressa dalla presenza di un uomo assente. Sono due donne  che accolgono la solitudine  e da lì traggono la loro forza, la forza di fare scelte coraggiose: sole le donne salveranno il mondo.

La differenza tra le due famiglie è sottolineata anche dal profilo della ragazza israeliana, che si trova a Washington in un prestigioso college, mentre il ragazzo palestinese si trova nella stessa città come lavapiatti.

Nessuno degli uomini ci fa una gran figura nel film. Anche l’avvocato, alla fine se la squaglia con la figlia del ministro. Vengono dipinti o come codardi o come oppressori (il ministro, il capo villaggio palestinese).

Ci si potrebbe domandare se è un film equilibrato o se si sbilancia piuttosto dal lato palestinese. Certo, la situazione politica non è equilibrata e probabilmente neanche il film lo è. I personaggi israeliani sono dipinti indiscutibilmente come meno simpatici e difficilmente si può provare empatia per loro, con l’unica eccezione della moglie del ministro alla fine, ma perché ha il coraggio di rompere con tutto il resto.

Per rispondere alla domanda se il film sia equilibrato, rappresenti la realtà in maniera equilibrata, mi sento di affermare che il film è squilibrato, come la realtà del resto, si tratta di uno squilibrio che è richiamato anche visivamente tra la maggioranza israeliana  e la minoranza palestinese.

Si potrebbe dire che il film è equilibrato perché entrambe le protagoniste femminili sono positive.

Un altro personaggio interessante è Freccia, la giovane guardia in cima alla torretta sul giardino di limoni. Durante i suoi turni prepara l’esame di ammissione all’università e svolge ridicoli test di logica e matematica in un contesto assolutamente illogico.

Un elemento sottolineato da alcuni dialoghi è quello del “sistema”. Il ministro della difesa potrebbe mettere fine a tutta la questione con una semplice telefonata, ma non vuole andare “contro il sistema”, non vuole disobbedire a un sistema ingiusto. Sottolineature interessante in un contesto ebraico, che a sua volta è stato vittima di un sistema impazzito, come quello nazista, al quale in troppo pochi hanno avuto il coraggio di disobbedire.

Colpisce il simbolo del muro: il film denuncia la storia di due popoli che non si parlano, racconta il disagio di due civiltà.

È altrettanto forte la simbologia della porta aperta. Tutte le porte che si vedono nel film sono aperte e tutte le porte cui si bussa vengono aperte. Sono le due figure femminili, Salma e Mira, ad essere associate alla semantica dell’apertura contro la chiusura, l’ottusità e l’oppressione esercitate dal potere maschile.

Nell’ottica israeliana presentata dal film, in nome della sicurezza tutto sia permesso.

È un film che recupera un aspetto centrale dell’identità ebraica: la memoria.  Esodo, esilio, shoah, diaspora, sono vicende cruciali e tragiche per l’identità del popolo ebraico attraverso la memoria. L’importanza ebraica della memoria è esplicitata paradossalmente attraverso la storia di Salma e del popolo palestinese, il quale, vivendo il fallimento dell’edificazione di uno stato, trova il proprio senso soltanto nella memoria.

È più volte sottolineato nel film che gli alberi sono come gli uomini: gli uni e gli altri vanno curati, hanno bisogno di affetto, di parole, etc. La recinzione, la minaccia di sradicamento e poi la drastica potatura degli alberi di limone rappresentano evidentemente l’oppressione del popolo palestinese. Ma cosa rappresenta il frutto di questi alberi, dal quale Salma trae la sua buonissima limonata? Probabilmente il sapere della vita, il suo profumo. Non è una questione di soldi, ma di sapore, di affetti, di gusto della vita negato. I palestinese non sono stati sradicati, ma recintati, soffocati e rasati, questo sì, sembra dire il film.

Giudizi

Attraverso un’elegante poesia visiva il film riesce a dare un quadro realistico e drammatico dell’attuale situazione israelo-palestinese attraverso una storia semplice ma ben raccontata e una metafora al contempo evidente ma non didascalica.