Regia di Mona Achache.
Introduzione
Il film non ha bisogno di grandi presentazioni perché è piuttosto immediato. Tratto ovviamente dal romanzo L’eleganza del riccio di M. Barbery, ha però trovato degli espedienti narrativi più visuali per adattarsi al grande schermo.
Elementi di senso
Un primo elemento simbolico è quello a cui fa riferimento il titolo: il riccio, animale spinoso e schivo, ma anche “maledettamente elegante”, così dice Paloma di M.me Michelle (Renée), aggiungendo però più avanti nel film che tutti siamo un po’ come ricci.
Un secondo elemento è quello legato allo sguardo. Il film si apre con la torcia di Paloma che illumina il buio di uno sgabuzzino e la sua piccola macchina da presa che registra la sua decisione di suicidarsi. Nei quadratini disegnati sul muro che rappresentano i giorni che la separano dal suo compleanno/suicidio, il primo ha al suo interno un occhio, l’occhio della sua macchina da presa, delle sua torcia puntata in faccia, del suo sguardo inquisitorio e giudicante. Quello sguardo cambierà nel corso del film, grazie a quello di Kakuro e Renée.
Un altro elemento simbolico molto importante è quello del pesce rosso nella boccia, che Paloma paragona a se stessa e a ogni altro essere umano, imprigionato in un destino sociale e interiore già scritto, che lei vuole evitare col suicidio. Il pesce rosso reale è quello della sorella (perfetto prototipo di vita borghese imprigionata), sul quale Paloma sperimenta la tecnica di suicidio prescelta (con gli ansiolitici della madre). Il pesce muore e viene scaricato nel sciacquone del bagno, ma rispunta miracolosamente vivo in quello di Renée. La morte di quest’ultima segna una prima conclusione, tragica, davanti alla quale Paloma resta senza parole e senza senso. Il ritrovamento del pesciolini segna invece una sorta di epilogo, di nuovo finale, il cui senso sfugge, come dice Paloma, ma fa sorridere e sperare che la vita abbia senso, e anche la morte.
Ancora un elemento è quello del destino, sociale, individuale, dal quale sembra non ci sia scampo; la prigione dei ruoli sociali (la concierge, la famiglia borghese, etc.), mentre Paloma vuole “diventare ciò che non è” e ci riesce grazie all’incontro con due persone diverse da lei, bambina di buona famiglia: la ruvida portinaia e il gentiluomo giapponese.
Si può certamente individuare nel film una critica sociale alla separazione tra classi, ai pregiudizi e soprattutto allo stile di vita borghese, caratterizzato da apparenza di benessere, ipocrisia, competizione e infelicità.
Il nascondersi è anche ricorrente nel film: Paloma si nasconde dalla madre, che la cerca in continuazione, si chiude nel suo silenzio giudicante, aprendosi pian piano solo con Kakuro e Renée. Quest’ultima di si nasconde nella sua stanza segreta, piena di libri, dov’è la sua vera vita, il suo tesoro.
La prudenza, la protezione, le difese. Durante la loro prima uscita, mentre attraversano la strada per andare in tintoria, Renée dice a Paloma di stare attenta, per evitare che finisca sotto una macchina. Renée era specializzata nell’autodifesa, nel chiudersi a riccio, nell’invulnerabilità, ma grazie a Kakuro imparerà ad aprirsi, a diventare vulnerabile. A quel punto non importa che muoia, come dice Paloma, perché ha finalmente vissuto, ha finalmente amato. “Come si decide il valore di una vita”?
Giudizi
Fiaba troppo didascalica e buonista o fine e gradevole riflessione sulla vita?
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