Genere:thriller
Durata:93'
Biglietto:€ 5.00

La morte corre sul fiume

San Fedele 3
Auditorium 19/02/2010 20.30
Regia di Charles Laughton. Con Robert Mitchum, Shelley Winters. Titolo originale: Night of the Hunter. Drammatico, b/n, 90' - USA 1955
Paul Gregory
1955
Usa

Tratto dal romanzo The Night of the Hunter (titolo originale anche del film) di Davis Grubb, è la prima e unica regia dell’attore Charles Laughton. Girato in poco più di un mese. ha una particolare fotografia in bianco e nero di Stanley Cortezal servizio dell’originale stile del regista, influenzato dal cinema espressionista tedesco e dal cinema scandinavo nell’attenzione maniacale per la posizione delle luci, ma anche dallo stile di David Wark Griffith.

All’espressionismo richiama la sequenza in cui il vecchio scopre il cadavere di Willa legata all’auto sul fondo del fiume con i suoi capelli che si confondono con le alghe, ed interpretata volutamente sopra le righe da Shelley Winters. La famosa misoginia di Laughton mostra quasi tutte le figure femminili come ingenue e stupide, si salva solo Rachel, interpretata dall’attrice di film muto Lillian Gish. Film complesso e polifonico dove confluiscono più percorsi: la storia nera, il racconto infantile e fiabesco ma anche l’accusa contro il fanatismo della religione cristiana nel sud degli Stati Uniti.

Probabilmente una delle migliori interpretazioni di Robert Mitchum, che sette anni dopo, ne Il promontorio della paura, vestirà nuovamente i panni di un personaggio molto simile. Laughton, a causa dell’insuccesso commerciale, non poté realizzare la sua trasposizione de Il nudo e il morto di Norman Mailer (film che fu poi girato da Raoul Walsh nel 1958).

Il film viene citato apertamente da Neil Jordan nel suo In compagnia dei lupi (1984).

Nel 1992 è stato scelto per la preservazione nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti.

Wikipedia

 

«La morte corre sul fiume possiede una natura plurima, fantastica e misteriosa. È un film che spinge all’esegesi e all’interpretazione. È un film su cui sono state svolte molte analisi. Eppure resta un’opera che, per ammissione degli stessi critici che l’hanno analizzata, conserva interrogativi e misteri: per dirla con un’espressione che richiama uno dei punti chiave della sua messinscena, è un film in cui restano molte zone d’ombra. Anche dopo analisi e interpretazioni, La morte corre sul fiume continua a riproporsi con un fascino cui è difficile sottrarsi, tanto che spesso ermeneuti ed esegeti confessano di essere stati portati a deporre gli strumenti della critica per lasciarsi andare alla meraviglia che ci prende quando John e Pearl discendono il fiume». (Bruno Fornara, Charles Laughton. La morte corre sul fiume, Lindau, Torino 1998, p. 8).

 

«Ed ecco che arriva il film nel film, il secondo film de La nuit du chasseur (La notte del cacciatore, traduzione del titolo originale inglese de La morte corre sul fiume). Una specie di confluenza. Quella notte, al termine dell’inseguimento, queste persone si rassomigliano. La vecchia signora buona e severa insieme, folle ed efficace, questa piccola infanzia immacolata, questo dato immutabile dell’impunità. E questo padre uccisore di bambini, questo mangiatore di carne fresca, questa carogna vuota come un sacco vuoto. Eccoli tutti riuniti nel luogo della confluenza, questo spazio tra la casa della vecchia signora, il giardino che la circonda e la strada che passa di là. È in questo luogo del film che avviene quello che potremmo chiamare il miracolo di La nuit du chasseur. Ciò che bruscamente si instaura tra queste persone è una relazione fino a quel momento impossibile da prevedere e che sfugge a ogni codificazione, a ogni analisi. Si tratta anzitutto di un comportamento inventato dalla signora e poi ripreso  dal criminale. Queste persone, così diverse, hanno tutto a un tratto in comune questo: che prendono in mano il film e decidono della sua sorte, come se finalmente un autore si alza e libera il film, lo porta via nella libertà. Bruscamente, non si sa più cosa si vede, cosa si è visto. Tanto si è abituati a vedere sempre le stesse cose. Tutto a un tratto, le cose cambiano. Tutti gli elementi narrativi del film appaiono come delle false piste. Dove siamo? Dov’è il buono, il cattivo? Dov’è il crimine? Il film diventa senza moralità. Cessa di essere la favola classica di cinquant’anni di cinema americano. Non c’è un epilogo imposto, non abbiamo più alcuna indicazione sulla strada che il film prenderà». (Marguerite Duras, La nuit du chasseur, “Cahiers du Cinéma”, n. 312-313, giugno 1980, in Bruno Fornara, op. cit., p. 135).

 

Potremmo porre una sola domanda ai film: quella relativa al tempo che si concedono […] I film brutti sono quelli che non fanno altro che emblematizzare il tempo della sceneggiatura […] I film buoni, invece, sottomettono tanti tempi parziali a un tempo dominante. E i film molto buoni lasciano apparire una pluralità di tempi che non sono ammassati gli uni sugli altri (La morte corre sul fiume è il film a cui penso più spesso). (Serge Daney, Il cinema e oltre. Diari 1988-1991, Editrice Il Castoro, Milano 1997, p. 30, in Bruno Fornara, op cit., p. 9).

 

Quando una volta andavo al cinema, gli spettatori stavano ben seduti ai loro posti e fissavano lo schermo, dritto davanti a loro. Oggi, constato che il più delle volte hanno la testa piegata all’indietro, per poter meglio ingoiare popcorn e dolcetti. Vorrei fare in modo che riacquistassero la posizione verticale. (Charles Laughton, in C.  Tatum Jr., La Nuit du chasseur de Charles Laughton, Edition Yellow Now, Crisnée 1988, p. 7, in Bruno Fornara, op. cit., p. 21).

 

 

Scheda (de)genere

a cura di Andrea Lavagnini, Francesca Mazzini e Giuseppe Zito S.I.

intervento di Bruno Fornara

invia le tue integrazioni a sf3@sanfedele.net

 

Introduzione

Il film si apre con una sorta di prologo metanarrativo. Non sappiamo chi sia la donna che appare sospesa in cielo insieme ai bambini a cui racconta della lotta tra bene e male, citando il vangelo, e di come distinguerli. Probabilmente dice che la storia a cui stiamo per assistere non è una semplice storia, ma la grande storia della lotta tra bene e male, raccontata a suo modo dal pastore, dalla signora Cooper e dai due bambini. Una storia universale. Una storia esemplare. Così va guardato il film, che non intende essere una cronaca di avvenimenti, ma è più interessato ai simboli. Per questo anche la recitazione è molto enfatica, simbolica.

 

Elementi di senso

Il fiume ha evidentemente una connotazione simbolica nel film. Sono troppi i riferimenti allo scorrere della corrente in una direzione. I bambini (e anche gli adulti) vorrebbero risalirlo sul grande battello a motore, che però non ferma più dal loro paese. Se il fiume è metafora della vita, non si può risalirlo e tornare nel grembo materno, ma discenderlo come John e Pearl, fino a sfociare in mare.

Nel film gli uomini vengono caratterizzati tendenzialmente come assassini (il padre dei bambini, il pastore Powell), mentre le donne come sciocche, affascinate da chi vuole ucciderle.

Così anche le coppie non sono dipinte mai positivamente e anche quando sopravvivono, lo fanno più per inerzia e non per amore. L’unica coppia sana, in un certo senso, sono i due bambini.

Nel film sono presenti anche molti animali, caratterizzati soprattutto come preda e predatore, proprio come gli uomini. Durante il dialogo in carcere tra Powell e il padre dei bambini si fa riferimento al passaggio di Isaia che profetizza un futuro in cui sarà superato il rapporto predatorio (lupo e agnello, leone e vitello, bambino e serpente), futuro al quale “un fanciullo li guiderà”. In realtà si stava parlando dei soldi rubati e nascosti nella bambola, ma sullo sfondo si intravede un altro tipo di tesoro, anche questo dischiuso dalla coppia di bambini, nel momento in cui supereranno la logica del denaro, del commercio, di una giustizia vendicativa, per entrare in quella del dono gratuito. La scena madre, in questo senso, è il giorno di Natale, quando ci si scambiano i doni. Il piccolo John riceve in regalo un orologio, che da tanto aveva sognato, un tempo nuovo, scandito non più dalla preoccupazione per il denaro, ma dalla gioia del dono. A suo volta regala alla signora Cooper una mela, non comprata col denaro, ma trovata, e incartata alla bell’e meglio. “Il più bel dono che abbia mai ricevuto”. Una mela donata e non più rubata come nell’Eden. È un nuovo inizio.

La vita dei bambini è segnata dal denaro sin dall’inizio: prima dalla preoccupazione del padre, e poi dalla responsabilità di custodirlo. Simbolicamente Pearl ritaglia due sagomine che li rappresentano da due banconote del “tesoro”.

Mrs. Cooper e il rev. Powell cantano insieme “leaning on everlasting arms” (appoggiandosi a braccia eterne), ma Mrs. Cooper aggiunge “Jesus”. Il bene e il male cantano insieme mentre si fanno guerra, disposti entrambi a uccidere. L’unico che infine si sottrae a questa lotta è John, che non giudica al processo contro l’assassino della madre, rifiuta di puntare il dito e non vuole si usi violenza su di lui (al momento dell’arresto). Non è altro che il ripetersi del circolo della violenza. Solo John sarà capace di spezzarlo con il suo dono e il suo per-dono.

Alla fine John sgrava finalmente la bambola del suo pesante fardello, e con lei se stesso e la sorella. A quel punto i soldi, che erano stati protagonisti, scompaiono di scena. Non se ne ricorda più nessuno e si entra in un'altra ottica, quella del dono.

La scena dell’omicidio della mamma di John e Pearl è estremamente stilizzata, viene coreografata come una vera immolazione e una sfida contro il cielo da parte del pastore.

La religione che professa il pastore (come dice in carcere al padre dei bambini) è quella su cui lui e l’onnipotente si sono accordati. Una religione a sua misura, una religione umana, troppo umana (Nietzsche, Feuerbach, Marx, Freud).

L’arco narrativo è molto semplice e segue soprattutto la vicenda dei due bambini, il cui obiettivo è difendere la vita e il denaro dalle insidie del malfattore, Powell, aiutati da Mrs. Cooper.

Nel film si racconta che la signora Cooper aveva un figlio che è fuggito da lei. E se quel figlio fosse proprio Powell?

 

Giudizi

Capolavoro della storia del cinema sull’eterna lotta tra bene e male o pesante polpettone edificante e sopra le righe?