Biglietto:5 euro

La sposa turca

San Fedele 3
Auditorium 09/04/2010 20.30
Un film di Fatih Akin. Con Birol Unel, Sibel Kekrilli, Catrin Striebeck. Titolo originale Gegen die Wand-Head On. Drammatico, 123' - Germania 2004.

La sposa turca, Orso d’oro all’ultimo Berlino, del regista turco-tedesco Faith Akin, svuota e ribalta il più accreditato dei «nuovi» generi cinematografici: la commedia etnica del matrimonio coatto. Di nuova soluzione, ma di antica tradizione, ha una ricetta semplice: in una comunità di immigrati (greci in America, libanesi in Danimarca, pakistani in Inghilterra) le prime o seconde generazioni, che vivono nel mito della nostalgia perle tradizioni del paese di origine, costringono, con metodi diversi, i figli a fare famiglia sposando un concittadino, corregionale, connazionale. Insomma il matrimonio etnico come premessa della continuazione. Da qui le caratteristiche della commedia etnica del matrimonio coatto: i due futuri sposi ribelli e moderni, le famiglie tradizionali ed eterne, il pranzo d’incontro, le nozze, il fratello violento della sposa....

Gli esempi si moltiplicano (come il degradare della commedia nella farsa folcloristica, a scapito delle dignità/identità e a favore della crassa comicità): da Moonson Wedding di Mira Nair a Sognando Beckam, anche se gli esordi erano di altro segno, come il My beautiful laundrette del primigenio Kureishi/Frears e le eccezioni altrettanto particolari (come il film israeliano Matrimonio tardivo). Tra queste, ora, si inserisce La sposa turca. Faith Akin ribalta gI i stilemi dei genere raccontando, bene e in maniera intelligente, una storia di matrimonio coatto al contrario: quella di una ragazza turcotedesca (siamo ad Amburgo) che per liberarsi della pressione di una famiglia ossessiva, dopo aver tentato vanamente di suicidarsi, trova neI (finto) matrimonio una via di fuga. Il progetto è di convincere un suo conterraneo di sposarla senza condividere oneri e onori del matrimonio. Ognuno fa la propria vita (compresa quella sessuale), concessa dalle apparenze. La scelta cade su un quarantenne autolesionista (interpretato da Birol, bella faccia sfasciata alla Rourke) incontrato nell’ospedale psichiatrico. Il film dalla commedia etnica presto scema nella tragedia (scandita in atti da un «coro greco» in formazione musicale), una sorta di melodramma turco-tedesco acido e corrosivo che termina sulle sponde di lstanbul in un finale di ingannevoli peripezie «conservatrici». Vedere la protagonista femminile arrivare carica di rabbia e trasgressione nella Turchia di oggi, scissa tra i «consigli di famiglia» (che sentenziano il delitto d’onore con ferocia primigenia) e la difficile lotta per la parità sessuale, è un bell’esercizio di immaginazione sociologica fatto da un regista turco tedesco ché vede Istanbul con gli occhi di Berlino.

D. Zonta, L’Unità, 15 ottobre 2004

 

Il 31enne regista turco-tedesco Fatih Akin, con accesi colori fassbinderiani, evita la retorica del lieto fine, ha una capacità rara di coinvolgerti nel racconto e di dare a questa passionaccia una sua evidenza concreta e socioculturale, come in Tutti gli altri lo chiamano Alì. Andando al di là dei facili folklorismi del filone dei matrimoni etnici, greci o pakistani che siano, il film è ruvido e indigesto, una ballata post brechtiana di umiliati e offesi ma provvista di dolore autentico. E’ un rabbioso, straripante, furibondo kolossal delle passioni ossessive e delle pulsioni sadomasochiste, commentato, mediato da un coro di musici ironicamente immobili sul Bosforo. Sono fantastici gli attori Birol Unel e Sibel Kekilli che offrono alla storia neo realista turca, e al suo pathos d’ autore, un’ immedesimazione totale che sfiora il male di vivere coniugato in un presente storico difficilissimo per tutti.

M. Porro, Il Corriere della Sera, 16 ottobre 2004

 

Scheda (de)genere

a cura di Andrea Lavagnini, Francesca Mazzini e Giuseppe Zito S.I.

invia le tue integrazioni a sf3@sanfedele.net

 

Introduzione

Come nel caso di Ken Loach vedremo oggi una delle prime opere di Akin, molto drammatica, che richiede molto dallo spettatore, mentre la prossima volta vedremo una commedia molto più agile e leggera. La sposa turca ha vinto l’orso d’oro del Festival di Berlino.

 

Elementi di senso

Una curiosa scelta registica è quella del coro greco (o meglio turco) sulle sponde del Bosforo, che canta canzoni tradizionali d’amore, forse proprio a dire che l’amore, ieri come oggi, al di là delle convenzioni sociali, porta a vivere le stesse gioie e le stesse sofferenze. Per molti aspetti il film è una vera tragedia, che ricorda molto da vicino anche quella di Romeo e Giulietta: due amanti che possono arrivare a malapena a sfiorarsi. Molto belle, infatti, le scene del contatto, fisico e non solo, tra i due.

Il titolo originale del film significa “Contro il muro”. Si parla evidentemente del muro contro il quale si schianta Cahit, ma forse anche il muro del fato e i tanti muri culturali che vengono eretti e superati nel film.

La storia prende l’avvio da due tentativi di suicidio, quello dei due protagonisti, che per questo si incontrano in clinica. Cahit, seguendo il consiglio del medico, accetta di sposare Sibel per “aiutare il prossimo”. Non si rende conto che si è già innamorato e che ha imboccato la strada per salvare se stesso. Così anche Sibel parte alla ricerca di una copertura che le permetta di sopravvivere, ma anche lei troverà qualcosa di più.

I due amanti sono schiacciati tra due modelli culturali inaccettabili: da un lato la famiglia tradizionale turca, paragonata a un carcere, dall’altro la fallimentare famiglia all’occidentale, caratterizzata dalla carrierismo e dal divorzio, incarnata dalla cugina di Sibel.

Alla fine tutti e due i protagonisti tornano alla famiglia: la ragione vince sul sentimento.

 

Giudizi

Fine riflessione sull’amore o pesante melodrammone senza speranza?