Durata:148'
Biglietto:7,50 € - Studenti 4€

Le verità

San Fedele 1
Auditorium 12 dicembre 2019, ore 15.15 e 20.45
Regia: Kore'eda Hirokazu
Film
2019
Italia
Diva del cinema francese, Fabienne Daugeville pubblica un libro di memorie e per l'occasione riceve la visita della figlia Lumir, sceneggiatrice che vive a New York con il marito Hank e la piccola Charlotte. Nella villa parigina di Fabienne, le due donne si sforzano di entrare in contatto l'una con l'altra e di fare i conti con il passato, impresa resa tanto più ardua dalla presenza delle famiglie e del maggiordomo Luc, stufo di essere dato per scontato. Fabienne è anche impegnata sul set, recitando in un film che confonde ulteriormente i confini del ruolo materno e di quello filiale.



Commenti del pubblico

VOTO: buono
Catherine Deneuve ben poco diva, sembra fare un passo indietro rispetto ai fasti di un tempo per interpretare un ruolo che incrocia realtà con finzione cinematografica. Del resto tutta la trama del film è un continuo spostamento di piani. Catherine, o meglio Fabienne, attrice che recita se stessa, è improvvisamente davanti a sua figlia Lumir che l'ha raggiunta da New York con marito e figlia, venuti  apposta per discutere il suo libro di memorie appena pubblicato e sul quale ha qualche obiezione da fare. Si apre a quel punto un dialogo serrato quasi alla ricerca della verità, che Fabienne sostiene con orgoglio, e che Lumir contrasta sicura di possederne un’altra. L’equivoco ha per scenario l’enorme macchina scenica, tutto quello che serve a regista e, fotografi e montatori a costruire la storia. Ed è qui che realtà e finzione perdono i confini e sfumano nell'invenzione. Da parte di Fabienne la difesa assoluta delle sue scelte che l'hanno portata a capire sempre meno i suoi doveri di madre, tanto da confessare “meglio essere una cattiva madre, una cattiva amica ma una buona attrice”.
Luisa Maria Alberini

VOTO: discreto
I piccoli e grandi sentimenti dell’animo riescono ancora una volta, in questo film di Hirokazu Kore’eda, a tenere insieme ed a superare complesse situazioni familiari. In questo caso specifico le complessità sono doppie, poiché una delle protagoniste sta recitando in un film e vive in esso una situazione analoga alla propria realtà. Il regista può così inoltrarsi e ragionare sull'arte della cinematografia, sulla finzione e sulla verità e su come assomigli la finzione alla vita stessa, che è un teatro con autenticità e menzogne. La realizzazione di questo film non mi ha soddisfatto appieno. Le due attrici protagoniste non mi sono sembrate convincenti nei rispettivi ruoli e l'elegante meccanismo di finzione e realtà mi è parso macchinoso.
Alessandra Casnaghi

VOTO: ottimo
A un'attrice icona del cinema francese Kore-eda fa impersonare per l'appunto un'icona del cinema francese, incarnando in lei l'inestricabile nodo che lega vita reale e finzione cinematografica, per cui accade che la battuta pronunciata in un'improbabile storia di fantascienza faccia affiorare emozioni autentiche, mentre il tenero abbraccio alla propria figlia suggerisce principalmente come atteggiarsi in una scena sul set. "Non si può essere attori a metà" dichiara la protagonista e dunque è inutile rimproverarle di aver colpevolmente ignorato persone o di aver modificato i fatti nel suo libro autobiografico: per gli altri può elaborare come vuole  le "sue" memorie. Anche la figlia, carica di antichi rancori verso lei, si arrende: la memoria inganna perché lo sguardo individuale cambia col tempo, ci sono dentro ciascuno motivazioni inespresse che vanno scoperte e comprese, si subiscono persino suggestioni dai fantasmi di persone defunte. 
Il linguaggio non solo veicola realtà fondamentalmente soggettive, ma le costruisce, come ha capito la figlia-sceneggiatrice, che formula per la madre le scuse da porgere al segretario forse offeso, perché ritorni al suo lavoro, oppure insegna alla propria bambina una frase per far piacere alla nonna. 
Non è più lecito parlare di errore, menzogna, falsità, di finzione contrapposta a spontaneità o sincerità, e tanto meno di oggettività: ci sono solo soggettività, "verità" diverse e il senso del film è già tutto nel titolo. 
Miriam Mazzoleni

VOTO: ottimo 
A noi piace la verità o preferiamo vivere in un mondo artificiale in cui pochi o nessuno parlano sinceramente? Visto il proliferare di telefonini e relative app, comprensive di fake news, che risolveranno anche tutti i problemi, ma difficilmente lo fanno in modo "vero" si direbbe che la seconda versione è quella che appaga i più. Con stile sobrio, ma efficace ce lo conferma il regista che approfittando di due grandi attrici contrappone madre e figlia, fantasia e razionalità, amore per la vita e discernimento delle cose fatte.
Fondamentalmente nella vita abbiamo bisogno dell'uno e dell'altro, chiediamo verità, ma non sempre siamo capaci di essere sinceri verso noi stessi e gli altri. Diciamo e non diciamo quasi che l'aperto confronto sia storicamente superato o lo si voglia evitare. Sopra questo un livello pubblico o meglio un pubblico spettacolo: il cinema dove tutto diventa ancor più difficile perché i suoi interpreti alla fine sono loro stessi cooptati dalle finte realtà che lo spettacolo mette in scena.
Edoardo Imoda

VOTO: mediocre
Specializzato a scandagliare i rapporti all'interno delle famiglie, anche non convenzionali, il regista giapponese Kore'eda si rimette in gioco uscendo dai confini nipponici e cala le tematiche a lui care in Europa, a Parigi, protetto dalle alte mura che circondano il bellissimo giardino di una villa nel cuore della città, dal set di un film, dall'abitacolo di un'auto: luoghi chiusi, circoscritti, angusti fisicamente o psicologicamente - anche dietro la natura incantevole c'è una prigione. Con due straordinarie attrici del cinema francese, Catherine Deneuve e Juliette Binoche, egli indaga il difficile rapporto madre-figlia, a sua volta un po' una prigione, giocando anche sull'ambiguità del film che la madre sta girando nel ruolo di figlia. L'esperimento di fondere due culture è pregevole e interessante, come anche il gioco di specchi del film nel film, il risultato però risulta un po' sfilacciato e farraginoso: i ritmi lunghi del cinema giapponese si traducono in una lentezza spesso eccessiva, che rende la visione a tratti soporifera.
Lucia Donelli