A Casablanca, in Marocco, la ventenne benestante Sofia viene colpita da un malore durante una cena ed è costretta a rivelare alla cugina Lena di essere incinta e di aver rotto le acque. Raggiunto di nascosto l'ospedale, Sofia dà alla luce una bambina, ma a causa delle severissime leggi marocchine sul sesso fuori dal matrimonio (che prevedono condanne fino a un anno di carcere) è costretta a rintracciare il padre prima che l'ospedale avvisi le autorità. Non potendo nascondere la cosa ai familiari, Sofia e Lena si recano con le rispettive madri nella casa del ragazzo - che si chiama Omar e vive in un quartiere popolare - e qui viene intavolata una contrattazione che dovrà portare a un matrimonio riparatore. Il buon nome della famiglia di Sofia sarà salvo, mentre Omar e i suoi parenti troveranno un'insperata occasione di riscatto sociale.
Commenti del pubblico
VOTO: buono
Questo non può essere un commento al film, che non mi dice quanto soffrirà quella bambina. Disprezzata dal padre ufficiale. La madre forse l'amerà. Figlia di uno stupro, ma carne della sua carne. I nonni la terranno teneramente in braccio? Barbare usanze che nel moderno Marocco sono diventate leggi.
Renato Ro
VOTO: buono
La regista mostra una padronanza fuori del comune dei personaggi, cui fa vivere una partita a scacchi di primo ordine. Il tutto sul substrato della realtà sociale e culturale marocchina, ancora intrisa di scontro fra religione e legge, fra rispetto della donna e corruzione, fra menzogna e rispetto.
La protagonista, vittima di violenza, pianifica la sua vendetta in modo gelido, creando a sua volta vittime del suo gioco nella figura di Omar e in quella di Lena. Entrambi infatti cadono nel suo gioco, ma mentre Omar capisce che ne può trarre vantaggio in termini di lavoro e di benessere famigliare e, anche se malvolentieri, si adatta, Lena è l'ultima a capire qualcosa e finisce per perdere i riferimenti con i quali era vissuta. La morale del film è assai triste: per ottenere un vantaggio economico e sociale tutto è permesso dalla corruzione, all'inganno, dalla menzogna all'accettazione del sopruso, purché non vada a monte l'affare societario che darà pace a tutta la famiglia. Se questo è il frutto della cultura marocchina, non è dato di sapere: la regista sembra considerarlo più un retaggio dell'uomo e della sua storia. Interessante il fatto che le protagoniste attive della storia sono solo e tutte donne: è questo l'unico messaggio positivo e di speranza.
Brillante la recitazione di Maha Alemi, buona la sceneggiatura, bene le fotografia, il cui continuo giocare fra tutto campo e inquadratura di un personaggio, contribuisce a rendere reale e credibile il consumarsi dell'inganno. Film che soffre di relativamente pochi mezzi, ma il risultato fa comunque onore al cast ed alla regia, con i limiti detti per i valori umani, che ne escono ridimensionati.
Giulio Koch
VOTO: ottimo
È una cultura che nega alla donna la conoscenza del suo corpo e dunque di se stessa quella che Sofia ha succhiato col latte materno e che le ha trasmesso il modello identitario della sottomissione, del servizio all'interno della famiglia e del proprio corpo come merce disponibile, in veste di moglie, per l'offerente più danaroso, pena l'essere investita di sensi di colpa e vergogna, la riprovazione sociale e l'emarginazione dalla comunità.
Anche una pianta lasciata al buio si flette verso il più piccolo spiraglio di luce e, dunque, col farsi il dominio maschile elaborazione di un "ordine", regole e leggi per l'intera società, la donna ha perfezionato le sue armi per la sopravvivenza, anche con la seduzione e l'inganno se necessario, nel regno alternativo della casa e della famiglia, dove comunque non è al riparo dalla violenza maschile e dello Stato. Questo è il percorso limpido ed essenziale reso dalla regista Meryem Benm'Barek attraverso la protagonista Sofia, silenziosa e innocente vittima di uno stupro in casa: quando finalmente si rende conto della sua maternità, dell'inevitabilità che divenga nota e della "vergogna" che ricadrebbe su lei e la famiglia, ricorre all'inganno attribuendo la paternità ad un ragazzo gentile, di famiglia povera, perciò più facilmente ricattabile. A quel punto l'attivismo di madri e zie, tutto all'interno della logica e della legge maschile, diventa inarrestabile nel piegare l'innocente malcapitato a nozze riparatrici in cambio di vantaggi economici. Ma la violenza fisica o istituzionalizzata trasforma gli uomini in cose e "pietrifica diversamente, ma ugualmente, le anime di quelli che la subiscono e di quelli che la usano": ce lo mostra magistralmente la regista intrecciando una catena di ipocrisie e disumanità: nessuna attenzione o cura da parte di madri e familiari nei confronti della giovane donna che ha appena partorito; nessuna tenerezza di Sofia nei confronti della neonata che vorrebbe subito abbandonare in un cartone per strada; nessuna attenzione di Omar verso la giovane moglie al cui gioco si è prestato per convenienza, ma che disprezza pronto al tradimento...
La regista apre il film ricordando la legge vigente nel suo paese d'origine che vieta e punisce col carcere i rapporti sessuali al di fuori del matrimonio e ne mostra le conseguenze nella società; affida l'unico spiraglio di luce e di speranza nell'oscurità di una tale situazione alla giovane Lena, la cugina che aiuta Sofia: ha avuto accesso ad una istruzione superiore, come medico conosce e cura il corpo e, certo, come la regista, ha sperimentato una cultura diversa dalla sua d'origine, per la quale si interroga su quale sia lo spazio riservato ai positivi sentimenti umani. È una privilegiata, ma forse non c'è altra strada per una società migliore se non quella della conoscenza e del superamento di una cultura basata sulla disuguaglianza dei generi.
Miriam Mazzoleni
VOTO: buono
Menzione per la fotografia.
Un buon film, girato con la giusta tensione narrativa ed arricchito, completato da una fotografia eccellente. La trama non è complicata: ciò che affiora è la cultura, lo stile di vita, la tradizione del Marocco. In questo caso addirittura si tratta di un evento contrario alle leggi di quella nazione. Colpisce la diversità sociale ed economica fra Sofia e sua cugina Lena, diversità che sta probabilmente per essere superata dalla nuova, promettente attività del papà di Sofia. Tutto potrebbe essere guastato da questa imprevista nascita e dalle modeste condizioni sociali del presunto padre. Ma la soluzione finale accontenta forse tutti. La resa dei conti vede Sofia punita da un matrimonio combinato, deludente e deprimente, ma con la consapevolezza che l'innalzamento del ceto sociale renderà la sua famiglia più rispettabile.
Alessandra Casnaghi
VOTO: ottimo
Esordiente, Meryem Benm’Barek sembra mescolare troppi ingredienti, ma giustamente Cannes le ha assegnato un premio per la miglior sceneggiatura. Nel rispetto quasi documentaristico di caratteri, voci e strategie dei personaggi - tutti protagonisti, con Sofia a perno - i fatti si svolgono chiari e con ritmo. La cugina Lena, medico di padre francese, salva la vita a Sofia e alla bambina da lei rifiutata inconsciamente sino all’ultimo momento. Coi soldi ammorbidisce la legge e il rifiuto del giovane che Sofia sceglie come marito (e perciò denuncia come padre anche se non lo è) e consente a tutti di attuare la propria strategia: Sofia sposa il giovane che in un’occasione è stato gentile con lei e ora entra con la mamma nell’agiatezza, genitori e zii di Sofia concludono l’affare con il francese che l’ha ingravidata. L’etimologia di Lena è vigoria di spirito e volontà, di Sofia sapienza: la neonata senza nome (ma può essermi sfuggito) è l’umanità che grazie a entrambe vede la luce, di fatto e in metafora, nonostante tutto.
Per migliorare, è l’auspicio neanche troppo implicito del film.
Giuseppe Gario
VOTO: ottimo
Sofia, ovvero il trionfo dell'ipocrisia in nome di una tradizione.
Una storia ambientata in Marocco dove, per non infrangere il perbenismo sociale, si arriva ad un matrimonio riparatore, paravento di una mentalità retrograda e menzoniera, dove nessuno è libero in una propria identità. La convenzione, la vergogna e l'incapacità di prendersi le proprie responsabilità, riescono ad essere persino più forti di una violenza sessuale subita in nome del quieto vivere, dove di vero e reale ci sarà solo un bambino.
Chiara Ghioni