La crisi del maschio: una perla nel trash
Se si può dirlo con un ossimoro, una perla nel trash. Nella commediaccia goliardica, post American pie, il film di Todd Phillips recupera il ritmo, il gusto di una sceneggiatura, la bravura di attori in contagiosa ed alcoolica amicizia, l’ ironia autoreferenziale e la dolcezza di Heather Graham. La storia è uno spicchio dello specchio della crisi del maschio americano che passa dai bei romanzi nuovayorkesi di McInerney e Richard Yates, dalle rivolutionary roads alla baldoria virile dell’ addio al celibato in una notte folle nella super suite di Las Vegas, con scomparsa del promesso sposo. Finale col pugno di Mike Tyson, un bebè in braccio a Stefan Galifianakis, una tigre che sbircia chi fa pipì come nei cine panettoni, Bradley Cooper e, vittima designata, il borghese fidanzato ribelle, Ed Helms. Belli brutti dannati, anche se infine a Los Angeles c’ è sempre il sole.
M. Porro, Il Corriere della Sera, 26 giugno 2009
E Hollywood si rimette in viaggio. Dopo Sideways e Svalvolati on the road è la volta della commedia amicale di Todd Phillips, che riprende il cinema on the road americano anni Settanta. Non siamo certo dalle parti di Easy Rider, emblematico road movie, che chiuse il difficile ma indispensabile cammino della gioventù americana negli anni Settanta, segnando drammaticamente l’impossibile conciliazione tra le molteplici “Americhe” di fronte alle quali si trovarono i girovaghi Peter Fonda, Jack Nicholson e Dennis Hopper, ma ugualmente il film di Phillips percorre strade e macina chilometri, facendosi pretesto per una crescita esistenziale. L’autore americano carica a bordo di una Mercedes d’epoca un campionario umano e una filosofia di vita improntate al gusto della vita. Come Sideways e Svalvolati on the road, Una notte da leoni archivia teenager e trentenni confusi per seguire la formazione di (quasi) quarantenni, anestetizzati dalla vita e decisi a procurarsi un cambiamento di prospettiva nella città vacante del nulla e del niente, Las Vegas. Il tempo, ciclico e diluito in Sideways, diventa tempo orizzontale e perduto nella notte brava dei fab four friends, significativamente distanti dalla soluzione e da un equilibrio ricercato. Phillips, esattamente come Alexander Payne e Walt Becker prima di lui, sceglie personaggi anagraficamente e socialmente medi (un dentista, un insegnante, un perdigiorno...), privilegiando storie di individui dalle esigenze comuni e caratterizzati da un’ordinarietà rassicurante e nostalgica.
Elegia malinconica del sodalizio virile e della difficoltà dell’amore. Una lunga notte che illumina i limiti umani, disegnandoli con infinito affetto e interminabili risate.
Marzia Gandolfi, MyMovies
Scheda (de)genere
a cura di Andrea Lavagnini, Francesca Mazzini e Giuseppe Zito S.I.
invia le tue integrazioni a sf3@sanfedele.net
Introduzione
Film dal fenomenale successo, ben oltre le aspettative: quasi 500 milioni di incasso globale per una produzione da 35 milioni. Nessuna delle produzioni precedenti degli autori si era neanche avvicinata a un successo simile, sebbene fossero dello stesso genere (Starsky e Hutch, Old School, Road Trip; Tutti insieme inevitabilmente, 14 anni vergine). Evidentemente il film ha toccato delle note importanti nel pubblico, ben più di quanto non pensassero gli autori. Il lavoro che vi propongo è dunque soprattutto di autoconsapevolezza come pubblico, per provare a cogliere le ragioni di tale successo.
Elementi di senso
La struttura narrativa è semplice quanto efficace: quattro amici vanno a Las Vegas a festeggiare un addio al celibato; si svegliano la mattina seguente sconvolti, incapaci di ricordare quanto sia successo. Il problema principale, però, è che manca lo sposo. Tutto il film consiste dunque nella ricerca dell’amico perduto, fatta ricostruendo passo passo la delirante notte brava, che ci è dato di vedere solamente alla fine attraverso le foto che scorrono accanto ai titoli di coda.
Sullo sfondo del film c’è innanzitutto Las Vegas, la Mecca della società dei consumi, con i suoi ammalianti specchietti per le allodole (soprattutto denaro facile, sesso, alcol e droga), curiosamente costruita in mezzo al deserto. Altro elemento sullo sfondo è la famiglia borghese media, rappresentata soprattutto dai genitori della sposa (Tracy), dalla famiglia di Phil e dalla neofamiglia di Doug e Tracy. Se all’inizio del film la famiglia media è dipinta come poco appetibile rispetto a quella dello scapolo (anche Phil dice di odiare la propria vita), alla fine del film tutto è ribaltato e le famiglie diventano ambienti gradevoli. Di fatto nulla è cambiato, ma dopo le rocambolesche quanto pericolose avventure della notte brava, una tranquilla famigliola appare rassicurante.
I protagonisti sono soprattutto Alan, lo svalvolato, Phil, il professore belloccio e Stu, il dentista sfigato. Alan è un bambino fuori controllo, Phil, sebbene sposato si comporta da adolescente, mentre Stu si sforza di fare l’adulto. È un film molto maschile, che racconta il più classico dei riti iniziatici dei maschi: l’addio al celibato.
Le donne hanno ruoli laterali, ma quasi sempre dominanti, con l’unica eccezione della spogliarellista, molto materna e comprensiva.
Andando ben al di là delle loro intenzioni, soprattutto quelle dichiarate alle rispettive consorti, “grazie” all’intervento di Alan, i quattro amici infrangono (anche se mai gravemente) tutti i più classici tabù americani: rubano, si drogano, guidano ubriachi, vanno con altre donne, etc. Più volte nel film torna la frase “Non bisogna”, “Non si deve”, soprattutto sulle labbra di Alan, che sebbene apparentemente inoffensivo, è la causa di tutte le infrazioni.
Altro elemento interessante e ricorrente è quello di essere o meno dei “falliti” o “sfigati”, questione molto importante nella cultura americana e forse anche nella nostra. Di fatto i tre amici sono tutti dei falliti: Phil, che si presenta come il più fico è in realtà un professorino di liceo che ruba i soldi ai suoi studenti e deluso dal proprio matrimonio; Stu è un dentista (con il complesso di non essere medico) oppresso dalla compagna; Alan è invece il prototipo del fallito. La parabola negativa del fallimento viene toccata in prigione, quando i tre amici vengono additati più volte dai poliziotti come “falliti”. Perfino il più sfigato dei bambini può abusarne.
L’amicizia ha indubbiamente un ruolo importante nel film, sottolineata perfino da due stacchetti musicali improvvisati da Stu e poi da Alan. In fondo è l’amicizia a tirarli fuori dai guai.
Veniamo dunque alle ragioni del successo. In genere tendiamo a identificarci più con gli sfigati che con i vincenti. Proviamo per loro più simpatia forse perché ciascuno di noi si sente un po’ uno sfigato. Se poi lo sfigato finisce per trionfare in qualche modo, il piacere dello spettatore è ancora più grande, perché nel riscatto del protagonista vede anche il proprio. In questo film i tre protagonisti partono da una situazione di vita grigia, infelice, in vari modi oppressa. Passando per i grandi casini della notte brava arrivano invece a una situazione positiva: Stu si libera dall’oppressione della compagna, Phil riscopre l’amore per la propria e Alan non è più solo come un cane. Evidentemente anche la maggior parte del pubblico sente la propria vita come grigia, oppressa da qualcosa o da qualcuno e nella parabola dei 3 amici (+1) vede una speranza anche per la propria.
Giudizi
Commedia brillante e perfettamente orchestrata che dà un simpatico spaccato del mondo degli scapoloni quarantenni oppure film superficiale e volgare senza contenuti?
Trovo questo film molto offensivo per l’uso del corpo femminile, della volgarità.
È un film che riesce a ironizzare e a scherzare sulla realtà, che non si può ignorare o semplicemente liquidare come “volgare”.
È una storia di solidarietà maschile, che purtroppo a volte c’è meno tra le donne. La figura della donna è lasciata da parte. Anche io vorrei un amico che fa di tutto per trovarmi, rischiando tutto e recuperando 80.000 dollari o quello che è. Ci sono citazioni di Easy Rider, Tre uomini e una culla, Rain Man, attraverso le quali il film dipinge simpaticamente una fetta del nostro mondo.
Io ho riso a questo film, ma con imbarazzo. Questo è un film che manipola la parte peggiore di noi stessi per farci ridere. È facile dire “così fan tutti”, ma di fronte alle cose di cui dovremmo vergognarci avremmo bisogno di un’arte che ce ne faccia vergognare, non di cui ridere. In realtà questo film non è nient’altro che la giustificazione di persone che vivono vite infelici e che si concedono almeno una serata in cui evadere dalla tomba nella quale vivono, insieme ad amici nella stessa situazione. Credo che questo sia il modo peggiore di fare arte perché manipolatorio e non realistico.
Per fortuna riusciamo a ridere delle parti peggiori! Un momento di svago ci sta per tutti.
Il film è farcito di gag comiche classiche, che andavano al tempo di Stanlio e Olio, che ci facevano ridere allora e ci faranno ridere sempre. I titoli di coda con le immagini della notte non li avrei messi, lasciando invece all’immaginazione dello spettatore.
Per me esistono due tipi di vita: quella dei giorni feriali in cui lavori e quella del fine settimana, in cui ti vuoi divertire. Io non voglio continuare a studiare anche il fine settimana! L’addio al celibato è un momento di trasgressione per prepararsi a una vita di fedeltà e di rispetto. Anche questo è divertimento.
Io, che ho superato i 20 anni, non condivido questo tipo di divertimento. La nostra preoccupazione, di noi vecchi, è che l’eccezione sta diventando la regola e i modelli che ci vengono proposti sono proprio quelli di coloro che non rispettano le regole.
Ricordiamoci del genere di questo film. Già nella cultura greca non c’era solo la tragedia, ma anche le commedie di autori come Aristofane, ben più volgari di queste. Anche io preferirei uno humour più intelligente, ma ci sta anche questo, in cui vengono fuori parti che tendiamo a rimuovere.
Non condivido che questa sia la realtà. E i ragazzi non sono il pubblico adatto a vedere queste cose, perché si limitano semplicemente a imitare quei comportamenti.
Invece siamo proprio noi il pubblico più adatto, perché questo è il nostro mondo e un film così mi fa riflettere su cosa è giusto e sbagliato. E a volte anche trasgredire è importante.
La volgarità fa parte della vita. L’importante è usarla nei contesti giusti. È da bigotti volerla rimuovere. Vivi e lascia vivere.
Occasioni di parlare tra generazioni diverse sono rare e dovrebbero essercene di più, quindi ben venga un’occasione come questa. Credo che la preoccupazione di noi vecchi, più che morale, sia politica. E cioè che questo momento di trasgressione festiva è perfettamente funzionale a un’ordinarietà opprimente da cui non si riesce a uscire in modo libero e responsabile. È una forma di evasione temporanea da una realtà, quella feriale, che invece andrebbe cambiata. Da questo punto di vista politico il film è molto esplicito. È come il “panem et circenses” dei romani, funzionale a un governo reazionario.
Non si può essere sempre seri per cambiare il mondo! D’altra parte non ci si può neanche sempre divertire. Un po’ di alternanza mi sembra sana.
Veniamo educati solo al dovere, mai al piacere. Perché anche la scuola non può educare al piacere? Questo film è piacere? Chi ce lo ha insegnato?
Questo film è un’esagerazione della realtà. Per questo fa ridere.
Ho visto questo film come una critica a un certo stile di vita. In fondo, della loro notte brava a Las Vegas non resta praticamente niente, se non i soldi per ripagare i danni fatti e i soldi spesi, delle foto digitale che verranno cancellate e nessun altro ricordo. Non credo il film voglia far passare il messaggio che quella è la bella vita.
Se un film suscita questo tipo di dibattito è un bel film.
Il fatto che ci piaccia un film così o che ci faccia ridere non significa che non sappiamo cosa siano la realtà o i valori veri come la famiglia, il lavoro.
Credo che le due posizioni contrapposte siano facilmente spiegabili. Da un lato i più maturi si preoccupano dei valori dei giovani, soprattutto perché siamo in Italia, paese in cui sta dilagando una sorta di amoralità, di incapacità di distinguere tra bene e male. Il film è costruito benissimo, perché i protagonisti fanno del male limitato e inconsapevolmente. Tutti i personaggi, poi, vivono una sorta di conversione, quasi di risurrezione. È un film estremamente morale, quasi moralista. Il problema è che lo sfondo culturale è americano, per cui Las Vegas è il carnevale dell’America. Il nostro problema è che in Italia non abbiamo più distinzione tra carnevale e vita feriale. È tutto carnevale! Il mondo della pubblicità sogna di farci vivere in un eterno carnevale, tutto divertimento, tutto piacere, dietro cui si nasconde una sottile schiavitù, tanto che alcuni sociologi parlano della società del miracolo, in cui tu arrivi alla vetta senza fare nessuno sforzo. Questo messaggio non c’è nel film. Ad alcuni di noi sembra di sì, perché lo vediamo attraverso la nostra realtà politica che eleva l’amoralità a modello.