Biglietto:5 euro

Valzer con Bashir

San Fedele 3
Auditorium 29/01/2010 20:30
Un film di Ari Folman. Con Ari Folman, Mickey Leon, Ori Sivan, Yehezkel Lazarov, Ronny Dayag. Titolo originale Waltz With Bashir. Drammatico, durata 87 min. - Israele, Germania, Francia 2008

Valzer con Bashir è il bel reportage di animazione di Folman, che racconta le stragi di Sabra e Shatila con gli occhi di un soldato.

Nato nel 1962, a vent’anni il regista Ari Folman si trovava in Libano. Con l’esercito del suo Paese partecipava all’assedio di Beirut, e all’accerchiamento di 15mila combattenti dell’Olp e dei loro alleati siriani e libanesi. A quei fatti lontani torna ora con questo film d’animazione raccontato quasi in soggettiva – il personaggio principale in originale ha la voce del regista –, e come se fosse il ritorno suo e di un piccolo gruppo di suoi coetanei ai mesi terribili che culminarono nel «massacro su larga scala di civili palestinesi nel campo profughi di Sabra e Shatila». Così appunto si legge nella risoluzione dell’Onu che il16 dicembre 1982 lo definisce «atto di genocidio».

Molto è stato scritto su Sabra e Shatila, e sugli uomini, le donne e i bambini che a centinaia o a migliaia (per alcuni 700, per altri 3.500) furono sterminati fra il 16 e il 18 settembre 1982 dai libanesi cristiano- falangisti di Elie Hobeika, come ritorsione per l’uccisione di Bashir Gemayel, leader falangista e neoeletto Presidente della repubblica. Più d’un tribunale ha tentato di districare i fili complessi di quell’eccidio, distinguendo le ragioni dai torti. Da parte sua, per altro, Folman proprio a questo non è interessato: alle ragioni e ai torti. Quella che lo muove, e che lo tormenta, è una preoccupazione molto meno generale e insieme molto più concreta: una preoccupazione che si può ben dire di carne e di sangue.

Da qui, da questo buio nella mente, prende il via “l’inchiesta”. Ari si interroga. Lo fa per la prima volta dopo più di vent’anni. E lo fa spinto dalla scoperta improvvisa del vuoto, del niente che in lui sembra rimasto di un’esperienza dura, feroce, densa di paura. Cerca, dunque, Ari. Si mette in cammino nel tempo, indietro verso la guerra, e anche nello spazio, per ritrovare amici e testimoni. Pian piano, qualcosa torna alla luce: notti e giorni passati su un autoblindo, mitragliando e uccidendo, nella speranza di non essere mitragliati e uccisi; i corpi crivellati di un libanese e della sua famiglia riversi dentro un’auto; e poi ancora corpi di feriti e di morti ammassati come cose, in attesa d’essere caricati su grandi elicotteri... Tutto questo non parla di ragioni o di torti. Quello che “dice” è invece la carne e il sangue di cui s’è fatto scempio. E dice anche l’orrore incredulo che pian piano si diffonde tra i soldati israeliani schierati attorno il campo di Sabra e Shatila, a partire dal pomeriggio di quel 16 settembre. Dall’alto delle loro postazioni, vedono e sentono i falangisti all’opera. E quel che vedono e sentono – così dice un personaggio ad Ari –, i loro nonni e padri hanno visto e sentito quarant’anni prima, in Europa. Di questo parla il sogno di Ari? Di un eccidio che ritorna, e che le coscienze dei singoli non riescono a fermare? A noi non resta che ammirare il coraggio di chi arriva a porsi domande tanto dolorose. Quelli non hanno da temere latranti cani neri.

Roberto Escobar, Il Sole-24 Ore, 18 gennaio, 2009

 

 

Scheda (de)genere

a cura di Andrea Lavagnini, Francesca Mazzini e Giuseppe Zito S.I.

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Introduzione

Ari Folman, regista israeliano, nato ad Haifa nel 1962, rielabora, in Valzer con Bashir, la propria esperienza di soldato: appena ventenne è testimone impotente della strage di Sabra e Shatila, consumata nella notte del 16 settembre 1982 ai danni dei palestinesi, raccolti in campi profughi presso Beirut.  La tragica rappresaglia, operata dai falangisti cristiani per vendicare l’uccisione del presidente libanese Bashir Gemayel, travolge donne, vecchi, bambini.

Le immagini di Valzer con Bashir, disegnate dalla mano di David Polonsky e animate da  Yoni Goodman, mostrano il doloroso viaggio che Ari Folman compie fuori e dentro di sé per riportare alla memoria i terribili eventi, rimossi e sprofondati nell’inconscio di un uomo, Ari,  e di un popolo, quello israeliano.

Elementi di senso

Ari Folman: «Ho sempre pensato a Valzer con Bashir come a un film da realizzare in animazione. Non ero affatto contento all’idea di realizzarlo come un documentario. Sarebbe stato noiosissimo! Mi è venuto in mente che dovevo farlo esclusivamente con l’animazione, usando disegni di fantasia. La guerra è molto surreale e la memoria gioca talmente tanti scherzi che ho ritenuto fosse meglio mostrare il viaggio della memoria con l’aiuto di grandi illustratori… Il mio film è stato realizzato prima in real video, cioè con attori e persone reali, girato in un teatro di posa e montato come un film di 90 minuti. È stato poi trasformato in uno storyboard e ridisegnato in 2300 illustrazioni che in seguito sono state animate. Non abbiamo disegnato o dipinto sulla pellicola girata dal vivo. L’abbiamo proprio ridisegnato da capo, grazie al grande talento dell’art director David Polonsky… La storia racconta quello che ho passato dal momento in cui mi sono reso conto che alcune grosse parti della mia vita erano completamente sparite dalla mia memoria. Ho affrontato uno sconvolgimento psicologico nei quattro anni in cui ho lavorato a Valzer con Bashir. Ho scoperto molte cose importanti del mio passato e  durante quel periodo mia moglie ed io mettevamo al mondo tre bambini. Questo ti fa pensare che forse lo stai facendo per i tuoi figli. Quando saranno cresciuti guardare il film potrebbe aiutarli a prendere le decisioni giuste, ossia a non prendere parte a nessuna guerra, di nessun genere… Un viaggio per cercare di ricostruire un avvenimento traumatico del passato è come un impegno ad affrontare una lunga terapia. La mia terapia è durata quanto la lavorazione del film: quattro anni. La cupa depressione derivante dalle cose scoperte si è poi trasformata in euforia. Se fossi il tipo che crede al culto della psicoterapia, giurerei che il film ha operato dei miracoli sulla mia personalità. Direi che la parte relativa alla realizzazione del film è stata bella, mentre l’aspetto terapeutico è stato terribile… Sette dei nove intervistati sono persone reali. Sono state intervistate e filmate in un teatro di posa. Per ragioni personali, Boaz (l’amico che sognava i cani) e Carmi (l’amico che vive in Olanda) non hanno voluto apparire nel film, perciò sono stati interpretati da attori. Ma le loro testimonianze sono vere… Ho girato Valzer con Bashir dal punto di vista di un semplice soldato e sono giunto a una conclusione: la guerra è totalmente inutile. Non ha niente a che vedere con quello che si vede nei film americani. Niente fascino, niente gloria. Solo dei ragazzi giovanissimi che non vanno da nessuna parte, che sparano a gente che non conoscono, che si fanno sparare da gente che non conoscono, e poi tornano a casa e cercano di dimenticare. Qualche volta ci riescono. Ma la maggior parte delle volte no».

Perché proprio un film d’animazione? L’animazione sembra la modalità più efficace per mostrare quanto la guerra sia un’esperienza surreale, un’esplicita costruzione. Solo la consapevolezza del filtro attraverso il quale vediamo la realtà ci permette di vederla realmente. La scelta del disegno animato, da un lato, sembra essere squisitamente tecnica, rappresenta il trionfo della libertà artistica del regista, ma, dall’altro, rivela una tensione terapeutica: il disegno si pone come un necessario strumento di rielaborazione. L’atrocità di quel che Ari ha visto e dimenticato non può essere semplicemente raccontata, deve essere ridisegnata. La mediazione artistica di David Polonsky diventa allora una mediazione terapeutica… è parte imprescindibile della “guarigione” della memoria di Ari Folman. È proprio la complessità di questo percorso che rende di grandioso impatto emotivo le immagini finali di Valzer con Bashir: fotografie e filmati di repertorio che mostrano lo strazio dei sopravvissuti fra i corpi accatastati di uomini, donne e bambini uccisi. Marjane Satrapi, regista di Persepolis (premio della giuria a Cannes nel 2007), aveva giustificato la propria scelta stilistica (quella di affidare la sua storia e quella del popolo iraniano all’animazione) – il confronto è quasi d’obbligo, vista l’eco internazionale della pellicola – affermando che il disegno animato regalava al racconto una dimensione universale: la storia dell’Iran (e degli iraniani vittime del fondamentalismo) poteva in questo modo diventare un patrimonio autenticamente condiviso.

Disegnare con compassione. David Polonsky ha affermato che la com-passione è la parola che ispira il suo modo di disegnare: immagina le emozioni (pathos) che nascono dalle cose lasciando che i suoi occhi guardino il mondo con compassione.

Una caratteristica del film è l’associazione del massacro di Sabra e Shatila alla Shoah. Ci sono voluto 20 anni al regista e a Israele per poter cominciare a parlare e a ricordare e forse altrettanto c’è voluto al mondo per fare emergere l’Olocausto dalla sua invisibilità. È un meccanismo comune alle coscienza individuale e collettiva: i più grandi orrori tendono a scivolare nell’oblio.

Resta la domanda circa il titolo. Perché “Valzer con Bashir”? C’è certamente il riferimento esplicito alla scena della folle danza del soldato in mezzo al fuoco dei cecchini a Beirut, sotto le gigantografie di Bashir Gemayel, ma forse il riferimento è all’alleanza tra Israele e i falangisti, che ha permesso il massacro dei palestinesi. Una sorta di danza macabra, di danza della morte. Forse, però, si può anche pensare a un valzer della memoria, al suo andare e venire, apparire e scomparire.

Giudizi

Il film è certamente impegnativo da guardare, se non altro per il tema drammatico che affronta e che presenta in un climax di crudezza, fino a giungere all’apice delle immagini storiche. Splendido esempio di contaminazione tra animazione, fiction e documentario senza facili soluzioni se non quella del cercare la verità e comunicarla?