Genere:drammatico
Durata:110'
Biglietto:ore 15.30 e 5.50 - ore 21.00 € 6.50

Welcome

San Fedele 1
Auditorium 25/03/2010 15.30 e 21.00
Regia di Philippe Lioret
Nord Ouest Productions
2009
Francia

Per realizzare il suo più grande sogno, raggiungere la sua ragazza appena emigrata in Inghilterra, Bilal, un giovane curdo, attraversa l'Europa da clandestino fermandosi a Calais in Francia. Qui incontra Simon, istruttore di nuoto in crisi con la moglie, al quale chiede di prepararlo per attraversare la Manica a nuoto...

«Quello che accade oggi a Calais mi ricorda ciò che è accaduto in Francia durante l’occupazione tedesca: aiutare unclandestino, infatti, è come aver nascosto un ebreo nel ’43, vuol dire rischiare il carcere». Con questa dichiarazione, rilasciata a pochi giorni dall’uscita di Welcome in Francia, il regista Philippe Lioret ha scatenato una violenta polemica che ha fatto il giro del mondo e che ha visto scendere in campo il Ministro dell’Immigrazione in persona, Eric Besson, la cui replica definiva inaccettabile il paragone. In una lettera pubblicata da “Le Monde”, Lioret ha confermato la sua posizione: «Non voglio mettere in parallelo la Shoah con le persecuzioni delle quali sono vittime gli immigrati di Calais e i volontari che tentano di aiutarli, bensì i rispettivi meccanismi repressivi che stranamente si assomigliano».

Al centro della questione, infatti, oltre la situazione sconcertante della cosiddetta “giungla” di Calais, c’è l’articolo L622/1 della legge sull’immigrazione voluta da Sarkozy, quello che punisce i cittadini francesi che aiutano i clandestini con cinque anni di reclusione. Tra le conseguenze paradossali di tale articolo c’è stata anche la messa sotto inchiesta dell’organizzazione umanitaria Emmaüs, fondata dall’abbé Pierre, o fatti di cronaca come quello di una casalinga di 59 anni trattenuta e interrogata dalla polizia per 9 ore per aver ricaricato il cellulare ad alcuni immigrati irregolari. «Spero che le cose cambino in Francia», dice Vincent Lindon.

«Non ho mai fatto un film per ragioni politiche, ma se questa legge cambiasse anche grazie a Welcome sarebbe davvero un motivo d’orgoglio».

P. Lioret: «Il progetto di Welcome nasce dalla forte attrazione che ho provato da subito verso questo particolare soggetto, dedicato a uomini in fuga dai propri paesi d’origine e determinati a raggiungere quell’Eldorado che l’Inghilterra rappresenta ai loro occhi. Dopo un viaggio improbabile, essi si trovano bloccati a Calais – frustrati, maltrattati e umiliati – a pochi chilometri dalla costa inglese, che riescono persino a vedere in lontananza. Parlandone una sera con lo sceneggiatore Olivier Adam, ho capito come quel posto fosse la nostra “frontiera messicana” e che sarebbe bastato scavare un po’ per ricavarne una storia di grande impatto drammatico.Insieme a Emmanuel Courcol ho contattato le organizzazioni non profit che fanno il possibile per aiutare queste persone, quindi siamo partiti per Calais. Per parecchi giorni, durante un inverno ghiacciato, abbiamo seguito i volontari di queste organizzazioni, venendo a contatto con la vita infernale dei rifugiati: la “giungla” dove trovano riparo, il racket delle estorsioni dei contrabbandieri, le infinite persecuzioni da parte della polizia, i centri di detenzione, i continui controlli dei camion dove stanno ammucchiati per riuscire a imbarcarsi sul traghetto e dove rischiano la vita per sfuggire alle ispezioni… Quello che ci ha sorpreso di più è stato l’età dei rifugiati: il più vecchio non aveva 25 anni. Quando abbiamo parlato con Silvie Copyans, dell’organizzazione Salam, abbiamo saputo che molti di loro, come tentativo estremo, hanno provato ad attraversare la Manica a nuoto. Mentre tornavamo a Parigi, le nostre menti erano così prese da quanto avevamo visto che in macchina non abbiamo scambiato neanche una parola…».

Dal Pressbook

 

Elementi di senso

In più modi viene richiamato l’immaginario della seconda guerra mondiale e dell’antisemitismo: il tatuaggio sulla mano, l’eseguire gli ordini come scusa portata dai poliziotti, una forma di apartheid per gli extracomunitari, il rischio che si corre ad aiutare un clandestino.

Simon comincia ad aiutare Bilal per riconquistare la moglie, ma poi si affeziona personalmente al ragazzo, come fosse suo figlio. Le sue motivazioni sono profondamente emotive e non politiche o ideali.

Viene sottolineata anche la violenza tra immigrati, tra poveri, oltre che quella tra ricchi e poveri: l’immigrato che rivuole da Bilal 500 euro; il buttafuori del supermercato che “esegue gli ordini”.

I problemi di vita o di morte degli immigrati, come anche la loro determinazione a vivere gli affetti fanno apparire i problemi dei francesi insignificanti (partita, beghe affettive). Simon: « Bilal ha fatto 4000 km a piedi e vuole attraversare la Manica a nuoto per vedere la fidanzata e io non sono stato capace attraversare la strada per fermarti».

Un altro simbolo piuttosto esplicito del film è l’acqua, della piscina di Simon, della Manica. Per i clandestini è un’agognata fonte di pulizia, di dignità e in ultima analisi di libertà (attraversare lo stretto per raggiungere il sogno). Da quella stessa acqua, tuttavia, a causa dell’intervento della guardia costiera inglese, Bilal verrà sommerso.

Simon, in quanto istruttore di nuoto, allena i giovani a vivere in un elemento che non è il proprio: l’acqua. Farà esattamente lo stesso con Bilal, sforzandosi di aiutarlo a trovare un posto in un mondo che non è il suo. I clandestini appaiono letteralmente come pesci fuor d’acqua.

Viene sottolineato anche il sacrificio di Simon che si fa carico di tutte le possibili colpe per scagionare la moglie. Il maestro di nuoto è inoltre disposto a rischiare il carcere per aiutare Bilal.

Dopo il furto della medaglia d’oro Simon si arrabbia, ma poco dopo regalerà a Bilal un oggetto di ancora maggior valore, non solo economico: l’anello della moglie. Viene definito un anello antico, di diamanti e zaffiri, che nessuno riesce più a mettere, neanche Mina, la fidanzata di Bilal. Ha evidentemente una forte valenza simbolica (il matrimonio, l’amore?). Viene ritrovato, anche se solo temporaneamente, sotto i cuscini del divano grazie all’arrivo degli immigrati. La vicenda di Bilal porta una ventata di freschezza nella vita stanca di Simon.

La sceneggiatura è strutturata sullo schema di due storie simmetriche e contrarie, quella di Bilal, che cerca di raggiungere l’amata, e quella di Simon, che cerca di ritrovare l’amore perduto della moglie. All’inizio sembra essere Simon ad aiutare Bilal, fino al punto di rischiare il carcere, ma alla fine saranno Bilal e la sua storia ad aiutare Simon, portando una ventata d’aria fresca nella sua vita e riaprendo una possibilità di amore con la moglie (l’anello verrà finalmente indossato).

 

Giudizi

Il film ha come sfondo una questione politica e sociale, ma si focalizza soprattutto sull’aspetto umano e drammatico. Si schiera, ma non in modo ideologico.

Il film suscita compassione nei confronti degli immigrati, ma in fondo anche dei francesi. È profondamente umano.

Una vicenda ispirata a migliaia, milioni, di storie reali, è però anche chiaramente romanzata: l’obiettivo di Bilal è molto romantico, non è il mero sogno di un benessere maggiore o di poter mandare soldi a casa. Anche il fatto che sia così giovane rende il tutto molto più commovente. La combinazione di verità e finzione sembra davvero ben riuscita.