ROBERT BRESSON Au hasard Balthasar (1966)
Ciclo Cin'acusmonium
Auditorium martedì 25 novembre 2014 ore 21.00
lingua originale con sottotitoli; Francese
III – Martedì 25 novembre ore 21.00
Au hasard Balthasar(1966)
(ore 18.00 Tavola Rotonda e mostra George Rouault)
interpretazione acusmatica di G. Cospito e D. Tanzi
Paese di produzione Francia, Svezia
Anno 1966
Durata 95 min
Regia Robert Bresson
Sceneggiatura Robert Bresson
Fotografia Ghislain Cloquet
Montaggio Raymond Lamy
Musiche Jean Wiener
Scenografia Pierre Charbonnier
ATTORI
Anne Wiazemsky: Marie
François Lafarge: Gerard
Philippe Asselin: Padre di Marie
Nathalie Joyaut: Madre di Marie
Walter Green: Jacques
“Lo
sguardo dell’accettazione” è un ciclo aritcolato che prevede film
proiettati con l’acusmonium, conferenze e mostre con l’obiettivo di far
scoprire o rivedere l’arte cinematografica di Robert Bresson
(1901-1999), protagonista della rinascita del film francese del secondo
dopoguerra, tra i più importanti pionieri del rinnovamento del
linguaggio cinematografico. Bresson, fin dall’inizio della sua carriera,
ha preso distanza dai canoni tradizionali del cinema, perché li
considerava troppo legati alla mimica e allo stile del teatro, e con
ragione definiva il cinema un teatro di ombre, un “teatro fotografato” e
senza vita. Per questo, Bresson nei suoi film si è messo alla ricerca
della “vita” propria del cinema, da cercare non nell’enfasi della
recitazione o nella bravura dei grandi attori, ma nei rapporti inattesi
che nascono tra le diverse immagini e vengono poi associate e ordinate
nella fase del montaggio. “Un’immagine in sé è neutra – afferma Bresson –
, ma, improvvisamente abbinata a un’altra, incomincia a vibrare, la
vita vi fa irruzione. A partire dal momento in cui l’immagine vibra,
allora si fa del cinema. Quello che è bello in un film, ciò che io
cerco, è un cammino verso lo sconosciuto… Un film deve essere qualcosa
in nascita perpetua”. Per questo Bresson per i suoi film non sceglieva
attori professionisti e al tempo stesso non gli piaceva essere chiamato
regista o realizzatore: “girando un film, io non realizzo proprio
niente. Prendo un po’ di realtà, dei pezzi di realtà, che poi metto in
un certo ordine”.
Al centro della poetica di Bresson c’è l’uomo così
come è, ripreso nel flusso reale della vita interiore. Il regista parla
della tensione esistenziale dell’uomo in termini giansenistici: “la
nostra vita è fatta di predestinazione e caso, ognuno va verso un certo
punto. Non sa proprio niente di quello che accadrà laggiù. Ci arriva. E
lì, deve scegliere. Sceglie. E giunge a un altro punto. E lì ancora, il
caso gli fa scegliere un’altra cosa”.
Infine, Bresson è stato uno
dei più attenti registi al rapporto suono/immagini. Per lui, il suono è
intimamente unito alla vita delle immagini e dei personaggi di ogni
film. Emergono così prospettive sonore sorprendenti, mai artificiali, ma
di una concretezza piena di vita.
In collaborazione con l’Institut Français de Culture de Milan
AU HASARD BALTHASAR
Estratto da conversazione tra Robert Bresson, Jean Luc Godard e Michel Delahaye:
Ho l'impressione che il film Au Hasard Balthazar risponda a una sua antica esigenza, a qualcosa cui pensava da almeno 15 anni. Questo perché tutti i film da lei realizzati precedentemente sembrano realizzati in attesa di questo, come se lo preannunciassero, costituendone dei frammenti.
Vi pensavo da molto tempo senza lavorarvi, vale a dire che vi lavoravo a sbalzi ed era molto duro perché mi stancavo subito. Era duro anche dal punto di vista della costruzione. Non volevo fare un film ad episodi, ma mi interessava che l'asino incontrasse un certo numero di gruppi umani che rappresentassero i vizi dell'umanità. Era dunque necessario che questi gruppi si intersecassero gli uni con gli altri. Era pure necessario, dato che la vita di un asino è molto placida e monotona, trovare un modo drammatico. Pensai a una ragazza. A una ragazza perduta o meglio sul punto di perdersi.
Nello scegliere questo personaggio, pensava ad altri personaggi dei suoi film? Perché nel vedere oggi Balthazar, si ha l'impressione che abbia attraversato anche gli altri suoi film. Voglio dire che con lui si incontra anche il Pickpoket e Chantal ed è proprio per questo che fa sentire il film come il più completo, il film totale, sia per se stesso che in rapporto a lei. Ha anche lei questa impressione?
Non l'avevo mentre facevo il film, ma in effetti vi pensavo da dieci o dodici anni. Non in modo continuo. Vi erano dei periodi di calma, nei quali non pensavo affatto, che potevano durare due o tre anni. Questo film l'ho iniziato, lasciato, ripreso...In alcuni momenti lo trovavo difficile e pensavo che non l'avrei mai realizzato. Lei ha quindi ragione di pensare che vi ho riflettuto a lungo. Ed è possibile che vi si trovi quello che c'era o doveva esserci in altri miei film. Mi sembra che sia il mio film più libero, quello in cui ho messo più di me stesso. E' molto difficile di solito mettere qualcosa di se stessi in un film che deve essere accettato da un produttore. Ma penso che sia logico, direi anche pensabile che i film che facciamo risentano in qualche modo delle nostre esperienze. Voglio dire che non solo delle mise en scène, è l'esecuzione di una sceneggiatura (o di un soggetto). Un film per me non deve essere l'esecuzione di una sceneggiatura pura e semplice, anche se è dello stesso regista, meno ancora se è di un altro.
Una volta, mentre girava un film, mi ha detto "E' troppo difficile, sono sul punto di improvvisare". Che cosa voleva dire?
Per me l'improvvisazione è alla base della creazione del cinema. Ma è certo che per un lavoro, specie se è complesso, è necessario avere una base solida. Per poter modificare una cosa, è necessario che in partenza questa cosa sia assolutamente chiara e definita. Perché se il regista ha non solo una visione assolutamente chiara delle cose ma anche definita per iscritto, rischia di perdersi. Si rischia di perdersi in un labirinto di dati estremamente complessi. Al contrario ci si sente molto più liberi nei confronti della sostanza stessa del film quanto più rigidamente si è proceduto a definire ed a limitare questa sostanza.
Mi sembra che si possa dire che in questo film, per la prima volta, lei racconta o inventa più cose insieme (non lo dico in senso spregiativo); fino ad ora (come in Pickpoket per esempio) era come se cercasse o seguisse un filo unico, come se esplorasse un solo filone. In Balthazar vi sono più filoni presenti insieme.
In effetti la mia linea dei miei film precedenti era molto semplice, evidente, mentre in Balthazar convergono più elementi o filoni. Ed è stato proprio il contatto tra questi vari elementi, contatti anche fortuiti, che hanno prodotto la creazione e nello stesso tempo mi hanno spinto a mettere forse inconsciamente in questo film tanta parte di me. Io credo nel lavoro intuitivo, ma a patto che sia preceduto da una lunga riflessione, e particolarmente da una riflessione sulla costruzione.