ROBERT BRESSON L’Argent (1983)

Ciclo Cin'acusmonium
Auditorium martedì 4 novembre 2014 ore 21.00
lingua originale con sottotitoli; Francese
II – Martedì 21 ottobre ore 21.00    
L'argent (1983)

(ore 18.00 Tavola Rotonda)

interpretazione acusmatica di G. Cospito e D. Tanzi

Paese di produzione     Francia, Svizzera
Anno     1983
Durata     85 min
Regia     Robert Bresson
Soggetto     Lev Tolstoj (racconto), Robert Bresson
Produttore     Jean-Marc Henchoz, Daniel Toscan du Plantier
Fotografia     Pasqualino De Santis, Emmanuel Machuel
Montaggio     Jean-François Naudon
Musiche     Johann Sebastian Bach
Scenografia     Pierre Guffroy

ATTORI 
Christian Patey: Yvon Targe
Vincent Risterucci: Lucien
Caroline Lang: Elise

“Lo sguardo dell’accettazione” è un ciclo aritcolato che prevede film proiettati con l’acusmonium, conferenze e mostre con l’obiettivo di far scoprire o rivedere l’arte cinematografica di Robert Bresson (1901-1999), protagonista della rinascita del film francese del secondo dopoguerra, tra i più importanti pionieri del rinnovamento del linguaggio cinematografico. Bresson, fin dall’inizio della sua carriera, ha preso distanza dai canoni tradizionali del cinema, perché li considerava troppo legati alla mimica e allo stile del teatro, e con ragione definiva il cinema un teatro di ombre, un “teatro fotografato” e senza vita. Per questo, Bresson nei suoi film si è messo alla ricerca della “vita” propria del cinema, da cercare non nell’enfasi della recitazione o nella bravura dei grandi attori, ma nei rapporti inattesi che nascono tra le diverse immagini e vengono poi associate e ordinate nella fase del montaggio. “Un’immagine in sé è neutra – afferma Bresson – , ma, improvvisamente abbinata a un’altra, incomincia a vibrare, la vita vi fa irruzione. A partire dal momento in cui l’immagine vibra, allora si fa del cinema. Quello che è bello in un film, ciò che io cerco, è un cammino verso lo sconosciuto… Un film deve essere qualcosa in nascita perpetua”. Per questo Bresson per i suoi film non sceglieva attori professionisti e al tempo stesso non gli piaceva essere chiamato regista o realizzatore: “girando un film, io non realizzo proprio niente. Prendo un po’ di realtà, dei pezzi di realtà, che poi metto in un certo ordine”.
Al centro della poetica di Bresson c’è l’uomo così come è, ripreso nel flusso reale della vita interiore. Il regista parla della tensione esistenziale dell’uomo in termini giansenistici: “la nostra vita è fatta di predestinazione e caso, ognuno va verso un certo punto. Non sa proprio niente di quello che accadrà laggiù. Ci arriva. E lì, deve scegliere. Sceglie. E giunge a un altro punto. E lì ancora, il caso gli fa scegliere un’altra cosa”.
Infine, Bresson è stato uno dei più attenti registi al rapporto suono/immagini. Per lui, il suono è intimamente unito alla vita delle immagini e dei personaggi di ogni film. Emergono così prospettive sonore sorprendenti, mai artificiali, ma di una concretezza piena di vita.

In collaborazione con l’Institut Français de Culture de Milan

L'ARGENT
Tredicesimo e ultimo film di Robert Bresson, L’Argent (1983) non fu ben accolto né dalla critica né nelle sale, ma merita di essere visto non solo per la statura dell’autore, ma anche perché si presta in modo singolare a riflettere sul suo stile e in generale sul significato della rappresentazione artistica.

Il film racconta la storia di Yvon, un operaio che subisce un’ingiustizia; da vittima diventa prima un ladro e poi un crudele assassino. All’inizio di tutto è l’odiosa insensibilità di due genitori nei confronti del figlio adolescente cui rifiutano di dare del denaro in più per ripagare un piccolo debito contratto con un compagno di scuola (in una scena velocissima, ma in cui Bresson riesce a descrivere complesse dinamiche relazionali). Il ragazzo allora chiede aiuto a un amico. Questi lo induce a spacciare assieme a lui una banconota falsa da 500 franchi. Il negoziante che la riceve la rifila a Yvon con l’aggiunta di altre due. Quando Yvon prova innocentemente a pagare un conto al ristorante con le banconote, viene denunciato e poi condannato. Invece di scagionarlo, infatti, l’impiegato del negozio testimonia il falso e conferma l’accusa. Passando di mano in mano, in chi lo riceve a turno il biglietto è dunque ogni volta l’occasione di un’amara scoperta. Si generano così le tensioni che imprimono alla storia i suoi primi scatti narrativi.

Il denaro mette a nudo le pulsioni più inconfessabili. Mogli e mariti che si dilaniano in tribunale per spartirsi i beni, fratelli che si odiano per l’eredità, amicizie che naufragano su litigi da pochi spiccioli: questo lo vediamo tutti i giorni. Attribuiamo al denaro un potere diabolico. Tuttavia, enfatizzarne il ruolo nel film sarebbe fuorviante. Come nei romanzi di Balzac il denaro qui è solo il reagente che l’autore usa per indagare la natura più intima dei rapporti umani. Visti nelle loro sfumature più tenui, essi svelano una trama meccanica, arida, automatica. Nel suo laboratorio di visioni Bresson scopre che ognuno è irrimediabilmente solo e al tempo stesso intrappolato in una rete simbolica (sociale). La chiave del film, ammesso che ce ne sia una, non è tanto nel racconto di Tolstoj, Denaro falso, cui si ispira direttamente, quanto piuttosto in un altro racconto dello scrittore russo La morte di Ivan Il’ič.

La solitudine, l’odio e la violenza, sembra dirci Bresson, sono alimentati da una generale mancanza di empatia, comprensione e accettazione dell’altro. È ineluttabile che le relazioni umane siano così? Sono tutte così? Sì e no. Forse è solo questione di soglie critiche. L’unica cosa che può fare da freno all’odio è ovviamente l’amore. Sull’amore primario dei genitori per i figli e viceversa si basa secondo Freud (1895) il fondamento dell’etica. Siccome per diventare adulto il bambino dipende così a lungo dai genitori e all’inizio si trova in uno stato di assoluta impotenza (Hilflosigkeit), ecco che questo vincolo, quando le cose vanno bene, si trasforma nella legge interiore che gli permetterà di essere a sua volta capace di amore, compassione e giustizia. Bisogna capire però il significato psicologico dell’odio e il perché della sua necessità.
Per saperne di più: http://www.stateofmind.it/2012/07/largent-di-robert-bresson-la-redenzione-dello-stile/