DOM 7 Ottobre Venezia e Milano all'epoca di G. Gabrieli
con strumenti d'epoca
Chiesa di San Fedele ore 17; ingresso gratuito
testo/musica
SPAZIO & MUSICA - I
LODOVICO GROSSI DA VIADANA (1554/57 - 1612)
Canzon “La Bergamasca”
GIOVANNI GABRIELI (1554/57 - 1612)
Canzon Vigesimaottava a 8 «Fa sol la re»
MICHEL’ANGELO GRANCINO (1605 - 1669)
Dulcis Christe
VINCENZO RUFFO (ca. 1510 - 1587)
Adoramus te Christe
TARQUINO MERULA (ca. 1595 - 1665)
Cromatico overo Capricio primo tuono per le Semituoni
GIAN PAOLO CIMA (ca. 1570 - ?)
Quam Pulchra es
GIOVANNI BATTISTA RICCIO (sec. XVI - 1621)
Laudate Dominum
GIOVANNI PIERLUIGI DA PALESTRINA (ca. 1525 - 1594)
Introduxit me Rex
GIOVANNI GABRIELI (1554/57 - 1612)
Sonata Vigesimaprima a 3
TARQUINO MERULA (ca. 1595 - 1665)
- Canzone III
- Intonazione cromatica del IV tono
AGOSTINO SODERINI (sec. XVI - 1608)
Canzon “La Brivia”
GIAN PAOLO CIMA (ca. 1570 - ?)
Laudate Dominum
GIOVANNI GABRIELI (1554/57 - 1612)
Sonata Pian’ e Forte
Ut Fa Sol Consort
Pietro Modesti, cornetto
Ermes Giussani, trombone alto e tenore
Susanna Defendi, trombone tenore
Valerio Mazzucconi, trombone basso
Francesco Catena, organo
Doveroso omaggio a Giovanni Gabrieli, nel quarto centenario dalla scomparsa, e al suo tempo. Il programma propone, infatti, anche le musiche di altri autori a lui contemporanei, operanti nel Nord Italia e inevitabilmente influenzati da quella ‘fucina della modernità’ che fu la Cappella Marciana di Venezia. Nel XVI secolo, il nucleo principale degli organici strumentali privilegiati nelle chiese in particolari occasioni liturgiche era formato da cornetti e tromboni, ossia gli strumenti di ‘alta cappella’, i cui musicisti, a Venezia soprattutto, godevano di uno status privilegiato all’interno della gerarchia civile, poiché coinvolti nelle pubbliche celebrazioni della Repubblica Serenissima. Tra i secoli XVI e XVII, a questo gruppo di strumenti se ne affiancheranno poi altri, quali dulciane (progenitrici del fagotto), strumenti a tastiera e ad arco. La possibilità riservata a questi strumenti di raddoppiare le parti vocali era consuetudine a Venezia e in Lombardia, dove era diffusa la prassi della policoralità. In questo senso, la presenza di due cantorie poste l’una dirimpetto all’altra nella Basilica di San Marco non fece altro che stimolare la fantasia dei maestri di cappella e degli organisti che qui si susseguirono, tra i quali Andrea Gabrieli, zio di Giovanni. Lo Stile concertato e il suo peculiare trattamento di più masse sonore – differenti per peso fonico e orchestrazione –, troveranno in Giovanni Gabrieli il punto di transizione verso il successivo sviluppo delle modalità compositive che saranno proprie, in avanzata età barocca, del Concerto strumentale e un’immediata influenza sulla successiva generazione di compositori.
Due, sostanzialmente, sono le facce del prisma della musica strumentale protobarocca che, ‘tra Venezia e Milano’, verranno messe in luce in questo concerto: il genere della Canzon da sonar e l’arte della trascrizione. Ancora, le tre pagine per strumento a tastiera intercalate all’interno del programma abbozzeranno un piccolo ritratto del compositore Tarquinio Merula.
Il genere della Canzon da sonar, propagatosi in Italia sul finire del Cinquecento, trova matrice nella polifonia vocale della chanson franco-fiamminga e toccò il suo vertice, dando autonomia alla scrittura strumentale, con le Sacrae Symphoniae (Venezia; 1597) di Giovanni Gabrieli, nelle quali, oltre a mottetti ‘coral-strumentali’ e canzoni da sonar, sono raccolte due sonate, la prima delle quali intitolata Pian’ e Forte in virtù delle indicazioni dinamiche prescritte dal compositore. La Canzon Vigesimaottava «Fa sol la re» – il cui titolo riporta il soggetto musicale impiegato – e la Sonata Vigesimaprima appartengono, invece, a raccolte più tarde. Mutuato anch’esso dalla chanson e dalla basse danse è il taglio danzereccio de La Bergamasca di Lodovico da Viadana e de La Brivia di Agostino Soderini (organista nella Chiesa di Santa Maria della Passione a Milano). Nella prima di queste due Canzoni, il tema è ricavato dalla popolaresca melodia della Girometta, mentre il titolo della seconda è un omaggio al nobile milanese Luca Francesco Brivio, a cui Soderini dedicò l’edizione a stampa delle sue Canzoni.
L’ampio ventaglio di trascrizioni in programma permette di osservare il cambiamento dell’indirizzo estetico-stilistico tra la stagione musicale tardo rinascimentale e quella barocca: sostituendosi qui il cornetto e i tromboni alle voci che originariamente veicolavano i testi, la sapiente costruzione contrappuntista di queste composizioni sacre verrà maggiormente evidenziata. Si va da Vincenzo Ruffo (Adoramus te Christe) e Pier Luigi da Palestrina (Introduxit me Rex), compositori dell’età del Concilio di Trento, a Michel’Angelo Grancino (Dulcis Christe), compositore e organista milanese attivo, come Ruffo, nel Duomo, ma la cui musica ha fatto propria, ormai, l’esperienza monteverdiana. Tra queste due generazioni di musicisti funge da trait d’union quella alla quale appartengono il milanese Gian Paolo Cima e Giovanni Battista Riccio (attivo a Venezia); generazione che consolidò la pratica del basso continuo. Dei due compositori si ascolteranno, rispettivamente, i mottetti Quam Pulchra es e Laudate Dominum.
In Italia, la scrittura tastieristica d’inizio Seicento si contraddistingue per l’estroverso virtuosismo e un’inquietudine manierista che si palesa, ad esempio, nell’ossessivo cromatismo melodico che accomuna il Capriccio di Tarquinio Merula e le tre toccatistiche Intonazioni cromatiche (solamente attribuite al musicista bussetano attivo a Cremona). La Canzone III, strettamente imparentata con un’altra dello stesso Merula intitolata La Marca, è in forma tripartita e, come le pagine precedenti, è caratterizzata da una diffusa scrittura imitativa (a.t.).