DOPPIO RITRATTO: BACH-SCARLATTI
Sonate di Scarlatti e risonanze contemporanee
Auditorium lunedì 9 novembre 2015 ore 21.00
SONATE DI SCARLATTI E RISONANZE CONTEMPORANEE
Drammatizzazione musicale
Musiche di D. Scarlatti
e creazioni di Mattia Clera, Simone Corti, Juan De Dios Magdaleno, Caterina Di Cecca, Michele Foresi, Matteo Giuliani*, Emanuele Palumbo, Silvia Pepe*
*Giovanni Cospito, pedagogical advisors e regia elettronica
ALFONSO ALBERTI, pianoforte
Con il contributo di Fondazione Cariplo
PROGRAMMA
SILVIA PEPE (1988)
On Light and heavier Things
DOMENICO SCARLATTI (1685-1757)
Sonata in Fa Minore K. 519
D. SCARLATTI
Sonata in Mi Minore K. 233
MICHELE FORESI (1988)
Contraffatto
D. SCARLATTI
Sonata in Mi Maggiore K. 136
CATERINA DI CECCA (1984)
Filigrane Scarlatte
MATTEO GIULIANI (1984)
Vestigium
D. SCARLATTI
Sonata in Fa Minore K. 466
MATTIA CLERA (1987)
Ex-Machina
D. SCARLATTI
Sonata in Re Minore K. 552
D. SCARLATTI
Sonata in Si Minore K. 173
SIMONE CORTI (1986)
Da capo
D. SCARLATTI
Sonata in Re Maggiore K. 478
JUAN DE DIOS MAGDALENO (1984)
Skar 478
EMANUELE PALUMBO (1987)
Gli alberi che mi guardavano
D. SCARLATTI
Sonata in Do Minore K. 363
SINTESI
Otto Sonate di Domenico Scarlatti, tra le meno conosciute ma al tempo stesso tra le più belle e rappresentative dell’immensa arte tastieristica del compositore napoletano, sono state scelte come punto di partenza per una drammatizzazione musicale inedita: a ogni sonata corrisponderà una anticipazione o una risonanza ed evocazione acustica ed elettronica composte dagli otto finalisti del Premio San Fedele 2015.
La fantasia del linguaggio di Scarlatti a confronto con otto soluzioni compositive contemporanee. L’esecuzione al pianoforte delle Sonate comporta già un cambiamento sonoro importante rispetto all’orinale clavicembalo. I finalisti del Premio San Fedele continueranno questo processo di estensione acustica dello strumento sia attraverso preparazioni del pianoforte, effetti vari ed elettronica sia servendosi di procedure formali che riprendono gesti, pigli, tratti irrinunciabili del genio scarlattiano. Ma il principio di riconoscibilità tra modello e risonanza non sempre è scontato. Sarà invece garantita l’esperienza di viaggio musicale in cui presente e passato si incroceranno.
SVILUPPI
Il viaggio musicale inizia con On Light and heavier things di Silvia Pepe, per pianoforte ed elettronica. Il brano fa riferimento alla Sonata K. 519 di Scarlatti che seguirà. In particolare all’effetto di continua sorpresa che Scarlatti ottiene attraverso decisi cambi di figurazione sottesi ad un ritmo ternario sempre incalzante. Nonostanti i cambi di carattere, situazioni e sonorità, il brano di Silvia Pepe mantiene un’arcata unitaria. I gesti pianistici sono esplicitamente riconducibili a figurazioni e motivi scarlattiani rivisti in chiave atonale.
La traccia elettronica, con la quale i gesti si fondono e dialogano, vede i medesimi eventi traslati sulla cordiera di un cembalo, ricomposti in un contesto di musica concreta strumentale: un’ombra di metallo e legno che richiama le sonorità e le azioni fisiche dell’esecutore nella sezione finale.
È la volta della Sonata K. 519 in Fa minore di riferimento al brano di Silvia Pepe. Essa colpisce per il grande dinamismo realizzato attraverso inattese modulazioni che creano un’erranza drammatica. Tuttavia questo flusso inquieto viene improvvisamente risolto in una luminosa cadenza in tonalità maggiore.
Ancora Scarlatti con la Sonata K. 233 in Mi minore, il cui inizio fa pensare a un brano convenzionale nel tipico stile imitativo del Settecento. Ma all’improvviso – è la caratteristica principale di Scarlatti – emerge una formula melodica misteriosa e penetrante su una nota pedale. Segue una coda in ritmo binario che crea una forte destabilizzazione. Ancora più intenso, sul piano del pathos, è lo sviluppo che utilizza progressioni armoniche e modulazioni serrate.
Le ultime battute della Sonata sono anche l’inizio di Contraffatto di Michele Foresi che ha voluto incastonare il suo brano tra due sonate di Scarlatti: appunto, la K. 233 in mi minore (appena ascoltata) e la K. 136 in mi maggiore, punto di arrivo del percorso. All'inizio, non ci si rende neanche conto che il brano è cominciato e tramite una graduale distorsione armonica ci si allontana da quel materiale scarlattiano, per condurre in una zona grigia dove pochi resti della sonata vengono trasformati, perdendo i propri connotati; resta il puro ritmo, il puro timbro (artefatto dagli interventi in cordiera) e poco altro.
Da questa tabula rasa si riparte per ritrovare dapprima lo strumento, ossia il pianoforte con tutte le sue caratteristiche, e poi la scrittura di Scarlatti, in un crescendo ritmico e di addensamento di materiali che da amorfi ritrovano gradualmente una loro definizione; appaiono accordi ricorrenti, gesti ripetuti, punti fermi che arginano il naufragio e riportano il discorso musicale dentro i binari della sonata di arrivo, la K. 136, che arriva a sorpresa come un luogo familiare che ci appare all'improvviso quando usciamo da una galleria.
La Sonata K. 136 in Mi Maggiore si potrebbe definire “la sospesa” a causa di un curioso tema in tonalità minore con appoggiatura su una nota pedale che sopraggiunge in modo imprevisto e crea un effetto di sospensione, di interruzione del carattere apollineo del primo tema. Nello sviluppo si percepisce l’abbozzo di un fandango.
Filigrane Scarlatte di Caterina Di Cecca riprende i procedimenti di scrittura della Sonata K. 136 attraverso una tematizzazione delle articolazioni e dei gesti strumentali, ad esempio: le grandi discese di registro, il cambio di modo con il conseguente accostamento di campi armonici molto diversi, i ribattuti, i blocchi accordali, con eventuali note aggiunte. Ne deriva un lavoro dai forti connotati virtuosistici in cui è dato grande rilievo all’utilizzo idiomatico della tastiera.
Una forte tensione discendente permea dunque tutto il pezzo, con una parte centrale sospensiva nettamente contrastante caratterizzata da due mondi molto distanti per campo armonico, articolazione ed ambito di registro. A ciò si aggiunge un utilizzo mirato di ribattuti e masse accordali.
Matteo Giuliani, vincitore del Premio San Fedele Bach-Scarlatti, con Vestigium, per pianoforte ed elettronica, propone la realizzazione di un’orma, un calco della Sonata K. 466 di Scarlatti che seguirà. La forma scarlattiana, infatti, procede per giustapposizione di figure ben determinate che acquisiscono ruoli contestuali differenti nello svolgimento. All’interno di una selezione di queste figure, per ciascuna di esse si è tentato di coglierne un aspetto cruciale e caratterizzante e si è ricreata, attraverso il pianoforte, una sorta di forma parallela che gestisce interamente Vestigium.
L’utilizzo dell’elettronica, con frammenti riconoscibili dell’originale scarlattiano, eseguiti sul pianoforte, sul fortepiano e sul clavicembalo, sono derivati dalla battuta 4 della Sonata K. 466 e vuole elevare questo calco formale in modo che l’antico – le suggestioni del clavicembalo e del fortepiano – si mostri attraverso il nuovo (appunto, il mezzo elettronico stesso).
La Sonata K. 466 in Fa min, è tra le più sobrie del musicista napoletano. I mezzi compositivi sono ridotti al minimo, il punto focale è la linea melodica iniziale che impercettibilmente passa alla mano sinistra diventando una sorta di ostinato ed entrando in contrappunto con una cellula melodica ancora più semplice alla mano destra. Il tutto viene continuamente rielaborato. Un lento e misterioso gioco nella profondità della melancolia.
Ex Machina di Mattia Clera (secondo classificato del Premio San Fedele) anticipa il gesto dominante e ossessivo della Sonata K. 552. Scrive a proposito il compositore: Quando finalmente riesco a individuarlo dal profondo, da un luogo lontano, emerge il ricordo. Emerge per un istante, lo fisso nella memoria e cerco di tenermelo stretto, come se lo stessi già perdendo. L’unica opportunità di ricordarlo è continuare a trasformarlo nella mia ossessione, mentre ne osservo il solo profilo, mentre mi affanno a cercare legami tra quello che ho visto e quello che ho disegnato. A questo punto il suono si è perso in un rumore ancora più assordante.
La Sonata K. 552 in Re minore inizia con un tema con mordente alla mano sinistra, subito imitato alla mano destra. Tra le ultime composizioni di Scarlatti, costruita su un'unica figura a mordente che attraversa tutto il brano in modo insistente. Il carattere inedito della figura e degli intervalli iniziali ne fanno una sorta di marcia turca lenta. Il genio di Scarlatti, con così poca materia, tira conseguenze aromico-melodiche estreme nello sviluppo della seconda parte, dove l’ostinato melodico fa pensare a Poulenc e Nino Rota.
Salto vicino, alla relativa minore, con la Sonata K. 173 in Si minore. Struggente moderato sospeso tra le sonorità del Mediterraneo e per certi versi anticipatore di alcune atmosfere Sturm und Drang con analogie a dei tratti chopiniani. Lo sviluppo della seconda parte presenta una rielaborazione del materiale originario con sospensioni e irregolarità ritmiche suggestive.
Questa Sonata trova una prosecuzione naturale in da capo di Simone Corti che ne riprende alcuni elementi: la scala discendente alla mano sinistra (modo frigio di fa#), oltre all’uso strutturale del moto contrario, oppure la particolarità dell’area tonale della seconda parte, in re minore. Le due sezioni principali del pezzo sono intese come amplificazione di questi due semplici elementi. Nella prima, la scala discendente si moltiplica secondo un principio canonico, dando vita ora ad un ispessimento, ora ad una rarefazione della materia sonora. Questa sezione, volutamente povera ed estremamente semplice nel solo uso del diatonismo, vuole ripercorrere il carattere cantabile proprio della Sonata originale. L’introduzione del la#, ovvero del cromatismo, rappresenta l’evento nuovo che fa scaturire il materiale della seconda sezione. Quest’ultima rappresenta un virtuosismo non tanto “scenico” quanto “didattico”. I frammenti affidati per moto contrario alle due mani sono combinati secondo principi anatomici (ovvero le varie posizioni delle dita sulla tastiera), facendo così del risultato sonoro la conseguenza degli elementi “tattili”, rendendo la sezione quasi uno studio per le dieci dita. Questa tecnica si rifà al concetto di studio di molte sonate scarlattiane, non a caso alcune di esse vennero pubblicate con il titolo di “Esercizi”.
La Sonata K.478 in Re maggiore è un Andante e cantabile che raggiunge gli estremi dei registri acuto e grave. Molto spoglia, cristallina e serena. Sul piano compositivo, ben costruita rimanendo su pochi elementi. Il tema iniziale si snoda lentamente e inesorabilmente, ma il suo progresso viene interrotto da una figura caratteristica discendente verso il registro grave. Lo sviluppo, ancora una volta in anticipo sui tempi, preludia a stilemi musicali degli inizi dell’Ottocento in area germanica.
Il brano Skar 478 di Juan de Dios Magdaleno continua questa sonata di Scarlatti con un gioco delicato di risonanze con suoni armonici e gesti glissati. Alla fine della drammatizzazione, c’è Gli alberi che mi guardavano di Emanuele Palumbo, intimamente legato all’ultima Sonata in programma: K. 363 in Do minore. Il giovane compositore si immagina una materia sonora anteriore alla sonata, o un liquido primigenio, dai quali scolpendo o asciugando, Scarlatti abbia creato la sonata. L’idea viene da Maurice Merleau-Ponty che in L’oeil et l’esprit racconta come il pittore debba lasciarsi compenetrare dal paesaggio circostante per poterlo dipingere, tanto che sono gli stessi alberi a guardare e a parlare con il pittore. Lo strumento (il brano) che ne é conseguito si sviluppa su due piani: la cordiera e la tastiera, (metaforicamente il liquido primigenio e la materia solida) che comunicano attraverso figure musicali condivise.
Oltre ad alcuni elementi metrici caratterizzanti, vengono estrapolati alcuni accordi dalla sonata in contrasto con armonie complementari di questi stessi accordi: note clusterizzanti intorno alle altezze, il tutto inscritto all’interno del gesto strumentale.
Conclude l’intero ciclo la Sonata K. 363 in Do min, tra le più impetuose e virtuosistiche del compositore napoletano, con alternanza continua di ritmi ternario-binario, creando ritmi instabili e una sensazione di mancanza di appoggi, tuttavia il flusso inarrestabile delle figure discendenti e a ghirlanda con le seste spezzate crea l’illusione di un solo getto, di una dinamica ordinata con una direzione ben precisa: l’arpeggio finale verso il do del registro grave, ultima sonorità definitiva prima del grande silenzio.
BIOGRAFIA ALFONSO ALBERTI
Nato nel 1976, ha studiato pianoforte al Conservatorio "G. Verdi" di Milano con Piero Rattalino e Riccardo Risaliti e ha seguito corsi di perfezionamento tenuti da M. Damerini, R. Tureck, F. Scala, V. Tropp e T. Zelikman.
Ha esordito nella Sala Verdi del Conservatorio di Milano a 17 anni, eseguendo il Quarto concerto di Rachmaninov con l'Orchestra della RAI. In seguito ha tenuto recital e concerti con orchestra in Italia e all'estero. Il suo repertorio è particolarmente vasto nell'ambito della letteratura del secolo appena trascorso, spaziando dalle avanguardie storiche fino ai compositori piè giovani.
La sua curiosità e disponibilità nei confronti delle tante forme di espressione musicale contemporanee lo ha portato a esibirsi nella veste di improvvisatore alle tastiere in Hymnen di K. Stockhausen (versione con solisti, eseguita a Milano nel 2001) e nella veste di microfonista di Mikrophonie 1 dello stesso autore (eseguito nel 2003).
Alfonso Alberti collabora stabilmente con l'"Ensemble Risognanze", con il "Mdi Ensemble" e in maniera occasionale con altre formazioni.
Alfonso Alberti affianca all'attività di pianista quella di critico musicale. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni ed è in corso un progetto per la pubblicazione della sua tesi presso l'editore LIM.
(Prevendita, per informazioni 02 86352231)