LUN 10 dicembre CIN'ACUSMONIUM

Andrej Rublev di A.Tarkovskij
Auditorium San Fedele, Via Hoepli 3a  ore 20
testo/musica
Proiezione acusmatica del film
Andrej Rublev (1966) di A. Tarkovskij

    interpretazione acusmatica Giovanni Cospito e Dante Tanzi.

(Prevendita dei biglietti per le proiezioni unicamente in Auditorium, tel. 02 86352231)

    Per la prima volta, tre film di Andrej Tarkovskij verranno proiettati con un sistema audio di 40 altoparlanti (l’Acusmonium SATOR). Lo scopo non è quello di creare effetti fonici speciali o di aggiungere sonorità non previste dal regista. Si tratta di spazializzare, durante le proiezioni, unicamente le colonne sonore e il materiale audio dei tre film. L’Acusmonium non ha dunque la funzione di potenziare il suono, ma contribuisce a rendere più percepibile l’unità immagine/suono nell’esperienza cinematografica.

SINOSSI

    Otto momenti della vita del monaco e pittore di icone Andrej Rublëv vissuto tra il 1370 e il 1430: un viaggio a Mosca; una prima discussione col pittore greco Teofane sul rapporto tra uomo e Dio; una seconda su come dipingere la Passione; una festa pagana tra i boschi; il lavoro di Rublëv a un affresco sul Giudizio universale; l’invasione dei Tartari e la difesa da parte del monaco di una sordomuta; il ritiro in un convento; la fusione di una campana che fa capire a Rublëv l’importanza dell’arte per il popolo. Biografia di uno dei grandi artisti russi del passato trattata come un affresco nel quale i fatti storici si mescolano alle riflessioni sui rapporti tra artista e potere, artista e popolo. Dalla rappresentazione storica si passa continuamente, in ognuno degli otto episodi, al giudizio critico e il «realismo», a volte molto crudo della ricostruzione drammatica, si dilata nell’interpretazione di alcuni problemi della società contemporanea. La solenne lentezza del ritmo è amplificata dal suggestivo effetto spaziale dello scope bianco e nero. Nel breve epilogo a colori il Dio della Trinità dipinto da Rublëv guarda solenne, ma finalmente vicino e comprensibile, l’uomo. Girato tra il 1965 e il 1967, presentato a Cannes nel 1969, fu proiettato in Urss soltanto nel 1972 (Il Mereghetti, Dizionario dei Film, Milano 2006).


APPUNTI

    Andrej Rublëv vuol essere una descrizione della Russia, un ritratto del popolo russo. Con le immagini della prima sequenza la terra russa si apre allo sguardo dell’uomo che ha osato volare, infrangere le leggi fisiche. Guarda dall’altro l’uomo che vola, guarda dall’alto il regista, per offrire un panorama della terra, della gente, dell’anima russa. Ma queste immagini, di una tranquillità e compostezza infinite, hanno termine. Rovinoso è il ritorno sulla terra; la realtà russa va conosciuta non solo da lontano, ma da vicino.
    A Tarkovskij preme di parlare della gente russa in un preciso periodo storico. L’immagine di questo popolo si forma attraverso i personaggi che gremiscono alcuni episodi del film, ma soprattutto attraverso la figura della giovane sordomuta che vive accanto al protagonista per un certo tratto della vicenda. Nella donna bionda si incarna l’esistenza di un popolo che non aveva comunicazioni di bisogni e di pensieri con i suoi governanti, con le varie autorità che erano la pià netta antitesi della vita pensosa della sterminata pianura sulla quale viveva gente totalmente ignara del mondo esterno. La sordomuta ben rappresenta questa umanità afflitta e dimessa, questo mondo del silenzio…
    Di questo popolo Andrej Rublëv è un figlio singolare. Egli constata come le ribellioni solitarie non giovino, come esse vengano brutalmente represse. In lui fiorisce e prospera la convinzione che bisogna operare per il futuro: egli è certo che la vita va vissuta al servizio degli uomini; è deciso a scuotere la sua gente dal torpore perché sia capace di guardare la realtà come parte di se stessa, di riporre fiducia in se stessa, perché l’uomo, solo, è all’origine di ciò che di più insigne è dato vedere sulla terra…
    Il mondo sarà radioso e abitato da esseri veramente liberi solo se l’uomo potrà esplicare senza limiti la sua personalità… La violenza, l’infelicità, la prevaricazione, l’invidia percorrono la pellicola come una fiumana di morte. Nella cattedrale di Vladimir, devastata dai Tartari, ingombra di cadaveri e di rovine, fra icone fumiganti, prepotente è il senso di morte e di disfacimento. La desolazione e la sfiducia invadono il cuore di Andrej e vi albergano, ma un cavallo nero entra nell’edificio e la neve comincia a scendere fra gli sperduti rintocchi di una campana, presenza e segno del necessario prodursi di un evento, fugaci indizi di una ancor lontana eventualità per la quale la catena dei luttuosi eventi sarà spezzata.

    Il Cristo, San Giorgio, il drago, la sintesi
    L’icona è «una visione della verità», «provoca nella realtà quanto è desiderato». Tarkovskij illustra nel finale alcune icone di Andrej Rublëv. Ritrae alcuni particolari dell’icona della Natività, poi passa a quella del Pantocrate presentandola nella sua interezza, e, prima di affrontare la Trinità angelica, si sofferma sui dettagli delle icone raffiguranti la Trasfigurazione, la resurrezione di Lazzaro e l’entrata di Gesù in Gerusalemme. Certo, la Trinità Angelica è la meta cui tendeva il discorso di Tarkovskij: il potere nella sua essenza imperscrutabile si umanizza, tempera la propria forza indifferente, entra in una dinamica di reciproco rispetto, di mutua collaborazione con i sudditi. Dalla riverenza timorosa si sale ad una concezione più pacificata dell’esistere e dell’autorità, si accede ad una visione di giustizia e di conciliazione che si incarna nel volto del Salvatore.
    Nel Cristo si fondono i simboli fondamentali dell’universo: il cielo e la terra per le sue due nature, l’aria r il fuoco per la sua ascensione e per le sue due nature, l’aria e il fuoco per la sua ascensione e per la sua discesa agli inferi, la morte e la resurrezione, l’asse ed il centro del mondo, l’agnello sacrificale e il principe dell’universo. Il Cristo raduna in sé i simboli della luce e della centralità; opera la fusione del mondo sotterraneo con la terra e il cielo. In lui combaciano tutti gli opposti; in lui è perennemente attuale una condizione ricca di infinita potenzialità. Nella Chiesa antica egli era il “sol novus” e si venerava come sole nascente.
    Sul volto del Cristo/Salvatore di  Andrej Rublëv, nei cui «occhi non si leggono la punizione e la vendetta per le colpe degli uomini – già il popolo russo soffriva e gli occhi del Salvatore esprimono questa sofferenza e, nello stesso tempo, l’attesa, l’amore, la speranza […], la pietà dell’uomo […], per la sua crudeltà» – la camera si fissa per alcuni istanti prima che sull’icona, preannunciate dal tuono, cadano le gocce di un acquazzone estivo.
    Con il temporale si manifesta una azione creatrice: le nuove ère sono annunciate da procelle, perché ciò che viene precipitato nel caos si trasforma e rinasce in un indescrivibile rivolgimento cosmico, cui partecipano cielo e terra. Il temporale si sfoga, ristorandola dalla calura estiva, in una minuscola radura su cui pascolano quattro cavalli: uno spiazzo quasi totalmente circondato dalle acque di un fiume che si aprono il cammino fra verdi boschi. Su questa immagine si conclude il film. Tarkovskij vi aggiunge iniziando un lento movimento della camera e dissolvendo fra l’immagine della parte d’icona battuta dalla pioggia e un paesaggio di riposante quiete. È la quiete cui anelava Rublëv che, osservando Boriška affaccendato nei preparativi della fusione, si era rammentato di un episodio sereno del suo passato, quando, in cammino con Kirill e Daniil il Nero, era stato colto dalla pioggia e con loro aveva trovato rifugio sotto una frondosa quercia.
    Tale quiete, conquistata attraverso il dolore e scaturita dalla vittoria sulla «bestia che alberga in noi», corrisponde ad un successo rivelato dai ritorni di una particolare immagine: liberata dallo stampo di argilla, la campana è inquadrata in modo che sia nettamente visibile il bassorilievo sulla superficie, raffigurante San Giorgio mentre trafisse il drago. Appoggiandovisi Boriška , vinto dalla fatica e dalla tensione, si addormenta. Lo si vede ancora quando la campana è issata dal “pozzo” di fusione e pochi istanti prima che il suono si propaghi all’intorno (da Achille Frezzato, Andrej Tarkovskij, Firenze 1977).