PINA di W. Wenders
Proiezione acusmatica del film
PINA (2011) di
Wim Wendersinterpretazione acusmatica di
Giovanni Cospito e
Dante Tanzi.
In collaborazione con il Goethe-Institut Mailand,
Ultreya e LeicaPer l'acquisto dei biglietti:
- direttamente in Auditorium San Fedele, lun-ven 10.00-12.30 e 14.00-18.00
- online al sito
www.crea.webtic.it/Default.aspx?sc=5213 (ATTENZIONE i posti non sono numerati)
Pina (2011) è un tributo
che Wenders fa a Pina Bausch, coreografa tedesca, scomparsa nel 2009 proprio
durante le fasi di realizzazione del film. Genere nuovo, tra il film e il
documentario, tra la danza e il cinema. La seducente apparenza della pellicola svanisce e si è davvero nel gioco,
comico e tragico, della danza di Pina Bausch. Il tempo è sospeso, nulla può
distogliere: il miracolo del teatrodanza di Pina è adeguatamente lì, in
un’eccitante assenza di distanza tra il nervo ottico, il cervello e il corpo,
dei danzatori e quello dello spettatore che freme, vive e si emoziona come a
teatro.
Presentato da Wim Wenders alla
Berlinale 2011, Pina è un vero e
proprio esperimento nel mondo dello spettacolo. Il maestro tedesco si concentra
sul lavoro di coreografa della Bausch, concependo l'idea che la sua orchestra,
i ballerini, potevano essere la sua voce. Pina alterna una struttura moderna e
pittorica a filmati di repertorio, ripercorrendo trentacinque anni di carriera
della Bausch. Un omaggio con cui Wim Wenders si avventura in questo territorio
così delicato riuscendo a restituire l'atmosfera delle opere della grande
coreografa senza limitarsi a un puro esercizio di danza filmata ed evitando
ogni espediente narrativo. Il film articola tra loro testimonianze dei membri
del Tanztheater Wuppertal Pina Bausch, estratti di spettacoli andati in scena,
qualche immagine di repertorio di Bausch sul palco o al lavoro durante le prove
e soprattutto coreografie rimesse in scena dagli stessi danzatori del gruppo in
diversi spazi. Ne emerge l'aura sacra dell'artista, il suo approccio da
psicoterapeuta, la lezione della sintesi tra linguaggio e movimento.
APPUNTI
Pina: un omaggio affascinante a Pina Bausch
Il teatrodanza di Pina Bausch è gemma della cultura contemporanea europea.. Questo è un dato di fatto. Del genere umano lei parla, l’umano contemporaneo osserva e testimonia; delle persone fa poesia, del corpo prodigio, ammaliante fascinazione e innamoramento dei più arditi […].
É una macchina incredibile quella che si mette in moto, già dalle prime inquadrature del film, che segue le tracce di quella “macchina emozionale” che è il meccanismo messo in atto in ogni stück dalla coreografa tedesca: oltre la struttura teatrale, oltre la parola, nel senso di Gilles Deleuze, un meccanismo che lavora, funziona, emette ed emana fenomeni percepibili veramente solo sul corpo, col corpo. Pina, il film, si addentra con la cinepresa in questo meccanismo/miracolo. E riesce a renderlo. Al centro del palcoscenico si staglia la bellissima figura di Nelken, una donna vestita solo dell’ingombro di una fisarmonica, che, dopo pochi istanti, ci catapulta tra i respiri ansimanti di Le Sacre du printemps. Trenta ballerini, quindici uomini e quindici donne, danzano sull’argilla un rito violento. In sala, lo stupore. La terra sui cui si muovono I danzatori, di tecnica assolutamente danzante, è la stessa di cui, grazie a questa visione stereoscopica, forse percepiamo anche l’odore, sulla quale ci sediamo per provare un punto di vista diverso della coreografia, o ci accasciamo per riposare l’emozione […].
Tra corpi via via più selvaggi, affannati e imbrattati, si può osservare le coreografie e indagarle, interrogarsi sulla spazialità, ipotizzare la visione, da dentro e da fuori, di Pina Bausch nel momento della composizione, addentrarsi nella creazione, frase per frase, segno per segno, o abbandonarsi semplicemente al prodigio e all’evocazione dei movimenti e alle sue emozioni. Il dettaglio del movimento, del gesto, la sua estensione nello spazio, la sua incisione del corpo, dei muscoli, del volto e dell’espressione è il prolungamento del nostro occhio; il senso fisico che, a monte, sia accaduto qualcosa di sconvolgente, di essere sull’orlo del baratro, le domande che riguardano la sconfitta o la sopravvivenza, sempre, è il nostro sguardo […].
Non senti di guardare un film, la seducente apparenza della pellicola svanisce e sei davvero nel gioco, comico e tragico, della danza di Pina Bausch, nella sua dimensione e nel suo fare teatro estranei a ogni morale e ideologia. Il tempo è sospeso, nulla può distogliere: il miracolo del teatrodanza di Pina è adeguatamente lì, in un’eccitante assenza di distanza tra il nervo ottico, il cervello e il corpo, dei danzatori e il tuo che freme, vive e si emoziona come a teatro. Il film è solo movimento e restituisce l’alternarsi sapientemente calcolato di condensaizone e di vuoto degli stück di Pina Bausch, che sondano e affondano negli interstizi in cui può insinuarsi la fantasia dello spettatore per poi riempirli di ricordi, sogni e desideri; il film è solo danza, inglobando la dimensione dello spazio di Pina […].
Le parole sono fuori campo, affidate alle voci dei suoi danzatori che parlano di lei, di sé stessi con lei e nei suoi spettacoli, in un autodafé muto in primo piano, fatto solo di sguardi ed espressioni, ancora incredule per la scomparsa della loro coreografa. Insieme a loro attraversiamo strade di Wuppertal, saliamo su metro e camminiamo a piedi nudi su sopraelevate e in sottopassaggi, scaliamo costoni rocciosi, cave, attraversiamo boschi, fabbriche e vagoni della magnetovia. Tra i loro assoli e passi a due, dedicati alla loro Pina. Il nodo alla gola è inevitabile. Non serve sapere chi è Pina Bausch, né intendersi di danza, né amarne il genio e le opere. Qui arriva, evidente, la dolcezza e la malinconia, la tristezza e la forza gioiosa di vite rimaste improvvisamente sole, che stanno costruendo come continuare, perché si deve e perché si può. Così ha insegnato Pina, e lo faranno.
Ma la fatica e la desolazione, tra gioia, felicità e bellezza del ricordo, spesso, traspare. Come giusto che sia. E tra un assolo intriso di gioia e leggerezza, uno di lotta, uno di ritrovamento, tra un gioco per farla ridere e un passo a due di grande seduzione, le sedie di Café Muller e il rumore del loro cadere continuamente pervade anche l’udito. La storia di Café Muller è raccontata da Dominique Mercy e Malou Airaudo, davanti ad un plastico che si anima e sdoppia tra presente e passato, svelando la storia e I retroscena di un’eccezione: solo 6 danzatori, tra cui la stessa Pina Bausch, e per soli 40 minuti. Wim Wenders regala anche immagini di repertorio come una delle riprese in cui Pina Bausch è in scena, emblematica, carismatica, bellissima. Si staglia sul fondo, la pelle sfiorata da una sottoveste chiara. Il passo breve e incerto, gli occhi chiusi, quelle mani, quelle braccia, che muovono il più grande e suggestivo lamento d’amore…
Café Muller racconta la mortalità dell’amore. Tra dolcezza e inquietudine, affidati ai movimenti, ai gesti, alla danza, riattraversiamo dintorni di Wuppertal fino ad arrivare nella sala da ballo di Kontakthof. Qui danziamo con tre generazioni, perché Wim Wenders incrocia tre versioni dello spettacolo: quella con i danzatori del Wuppertal, quella con gli over 65 (Kontakthof mit Damen und Herren ab ’65) e quella con i teenager (Kontakthof Teenagern ab 14). Si parla poco e agisce molto in Kontakthof e il film attraversa le passarelle gustose e macrabe di una giostra umana di contatti fittizi e di rapporti tra I due sessi “a debita distanza”. Siamo seduti nel luogo dei contatti fuggevoli o sornioni, timidi o aggressivi, perplessi o menzogneri, imbarazzati o esibiti, inglobati nella perfetta misura della divisione degli spazi, nel ritmo delle entrate e delle uscite.
Lutz Forster, all’improvviso, stravolge di commozione, come dal vivo in Für die Kinder von gestern, heute und morgen, con una strabiliante danza delle dita. L’affondo finale è con Vollmond, fra coni di luce, pioggia e pozze di acqua, la danza sensuale e travolgente, la messa a nudo dell’animo umano, le debolezze in amore, gli inseguimenti, le fughe, le sfide per dimostrare di esistere, l’amore, l’attrazione, il sesso, l’incomunicabilità, l’eterna battaglia per amare ed essere amati, la solitudine femminile. Un concentrato dei temi classici della Bausch, ma riproposti con incommensurabile freschezza e sensibilità. Lo spazio che si vuota e si riempie, con il ritmo dell’andamento delle onde, è esattamente quello diventa il cuore di chi guarda: un continuo svuotarsi e riempirsi di rapporti fra i sessi, di umanità, di vita vera.
Vedere uno spettacolo di Pina Bausch è venir trascinati in un’esperienza estrema: è vivere, soffrire, sperare, aver paura, amare. Un’esperienza capace di modificarti sostanzialmente e veramente. Questo arriva dal film, instillando quasi sicuramente la voglia e la necessità di andare a vedere uno spettacolo del Tanztheatre Wuppertal dal vivo. A congedare il pubblico dalla sala è Pina Bausch stessa. L’ultima inquadratura è per lei. Una brevissima frase core0grafica, in un bianco e nero che esalta la magia delle sue mani, braccia e del suo modo di inclinare la testa, e un saluto con la mano, come quelli dal finestrino o uscendo dalla sala prove, a dire “ciao, ci vediamo domani”. […]
Chi scrive appartiene alla generazione che ha goduto della rivoluzione già avvenuta, ma ha lavorato con persone che l’hanno vissuta in diretta. Ha rappresentato un punto determinante per la rottura stilistica e la creazione di un linguaggio, e una tappa precisa e significante del superamento dei generi verso cui si sono mobilitati gli anni ’60 e ’70. L’assolo sulle punte, riproposto anche nel film, per esempio, dove la danzatrice infila nelle scarpette due fette di vitello fresco sanguinante, era un’azione dirompente con un senso e un significato preciso. Che nel film si teme non arrivi. Le persone uscivano da teatro sconvolte. Come uscivano sconvolte dalla profondità degli interrogativi su cui sono costruiti gli stück di Pina Bausch. Che si interroga e interroga sulle più profonde questioni esistenziali. Ogni stück pone dinanzi a cose assolutamente inconsuete che, ulteriormente, si sdoppiano e coabitano nell’assoluta normalità e nel più grande prodigio cui si possa assistere.
Ogni istante è quello spazio di tempo che può improvvisamente ribaltarsi nel suo contrario: il più doloroso tormento si tramuta in allegria, la più travolgente malinconia si veste di inusitata serenità. Pina Bausch è un’osservatrice delle persone, dell’umanità, delle relazioni tra le persone, dell’infanzia, dell’amore, delle città, è un antidoto al cinismo del mondo. Gli spettacoli di Pina Bausch sono il gioco della vita, a un tempo comico e tragico, con le diverse sfaccettature e sfumature della nostra esperienza; fondono, come nelle fiabe, l’orrore e la bellezza con lievità, instaurando la fiducia nell’esistenza come un terreno praticabile. Arriva tutto questo? A chi scrive un po’ è mancato. Ma forse solo perché il desiderio che Pina Bausch, il suo genio e il suo senso siano conosciuti, compresi e amati profondamente da tutti, è un desiderio irrefrenabile. E forse solo andando a teatro dal vivo si può fare (www.milanoartexpo.com).
di Federicapaola Capecchi