Lunedì 27 Febbraio James Joyce letto con l'orecchio

Musica Elettronica
Auditorium San Fedele, Via Hoepli 3a 27 Febbraio 2012 ore 20.30, 5€ prevendita in Auditorium via Hoepli 3a
testo/musica
READING

SYD BARRETT (1946-2006)    
Golden Hair 1969
con video originale di Luca Sabbioni

CARMELO BENE (1937-2002)    
Intervista video

EDOARDO SANGUINETI (1930-2010)    
Intervista video

MARY ELLEN BUTE (1937-2002)    
Passages from Finnegan’s Wake (1965-1967)

DRAMMAFONIA DELL'ASCOLTO

LUCIANO BERIO (1925-2003)    
Thema (Omaggio a Joyce) 1958

TREVOR WISHART (1946)
Vox 5 1986

FRANCESCO MARIA PARADISO (1960)    
- Hyper-sequence 14.5*, 2008
per elettronica 8' - (Omaggio a Luciano Berio)

- Unexspected Word-Space *
Drammafonia per voce femminile e interazioni digitali in tempo diretto su testo di “Anna Livia Plurabella” passi di Finnegan's Wake tradotti in italiano da James Joyce e Nino Frank
Prima esecuzione assoluta

Presenta Silvano Petrosino

Tony Corrente, tecnico luci e sala

Elettronica: AGON *
Giorgio Sancristoforo, programmazione e sound design
Massimo Marchi, regia del suono

Francesco Maria Paradiso, esecuzione ed interazioni elettroniche live, regia del suono
Adele Pellegatta, voce

Prevendita in Auditorium (via Hoepli 3a)
Informazioni: Tel. 02 86352231    
sanfedelemusica@gmail.com

James Joyce letto con l'orecchio
La domanda presa da una frase di Giorgio Melchiorre stupisce, ma riassume un elemento implicito in gran parte della produzione letteraria di J. Joyce. Leggere Joyce con l’orecchio non è un paradosso ma la chiave di lettura delle varie proposte che si succederanno questa sera nel reading  e nella drammafonia. Al centro vi è l’oralità, la voce, il linguaggio, la scrittura parlante. Tuttavia, in Joyce, la scrittura non solo si legge ascoltandola ma il linguaggio si allarga a tal punto da coinvolgere tutte le dimensioni della persona umana, tutti i sensi, le esperienze esistenziali, la memoria, le interrelazioni, la storia. La scrittura di Joyce non si limita a raccontare o a evocare immagini e sonorità inedite, ma fa parlare tutta la persona, con tutto ciò che è e vive. Tutto l’uomo vibra con il suo essere nel linguaggio joyciano che include dalle profondità più nascoste dell’essere umano fino agli automatismi di linguaggio. Oltre che una riflessione sul fluire senza forma del tempo, oltre che un’immersione nella pura azione, l’opera joyciana è un’impressionante tentativo di rendere percettibile nella semplicità di una linea scritta la complessità dell’esperienza della vita.

Contributo di Francesco Maria Paradiso:
Con i passaggi audio-video di Carmelo Bene, di Edoardo Sanguineti, le primissime realizzazioni multimedia di Mary Ellen Bute (dedicate al concetto di seeing-sound, "vedere il suono" la relazione fra suono e visione) e le composizioni elettroacustiche degli autori in programma tutte centrate sulla oralità, sulla voce, sul tema del linguaggio, della comunicazione ("comune-azione") del timbro, del sentire e del vedere, della ri-significazione, tra innumerevoli spunti quindi, la serata "J. Joyce letto con l'orecchio" offre un'immersione nel fluire, nel mutamento, anche nella liquidità del nostro tempo, nel "riverrun" (lo "scorre-fiume") joyciano che è pura azione, denotazione pura, liquidità "senza forma".
Siamo allo zenith di una trasformazione nella direzione indicata da McLuhan in La galassia Gutenberg: "Via via che la nostra epoca traduce se stessa all'indietro nelle forme orali e uditive a causa della pressione elettronica della simultaneità, noi diventiamo consapevoli della acritica accettazione di metafore e di modelli visivi da parte di molte età che ci hanno preceduto". Se ha ragione MacLuhan, dobbiamo attenderci insieme all' "abbandono" della cultura scritta anche una diminuzione della nostra dipendenza dalla rappresentazione e l'organizzazione visiva del suono, come esattamente accade per la musica elettroacustica o acusmatica, ed anche una diminuzione della nostra dipendenza dalla rappresentazione e organizzazione visiva del pensiero come accade esattamente con Joyce e in generale nella contemporaneità.

Si affaccia così la problematica contemporanea del vivere in una dimensione liquida. Una liquidità di storie, immagini, linguaggio e comportamenti, di percezioni, di ascolti. Liquida immediatezza del pensiero, un pensiero non obbligato dal concetto, "un linguaggio senza pensiero, senza pensiero pensato, un pensiero non pensato" come riferisce Carmelo Bene dell'Ulisse e del Finnegans Wake di Joyce. Sotto la pressione elettronica della simultaneità, o della multi-dimensionalità, siamo linguaggio/i, pensieri, lingue e comportamenti che non si rapprendono, non coagulano, non s'addensano, non si fissano, caso mai alludono, denotano; sembra che la complessità di un pensiero sia affidata (solamente) alla combinazione di presenze, storie istantanee, significanti i quali scorrono allo stesso modo di un fiume, o le centinaia di fiumi, torrenti, ruscelli (Il "riverrun", il fiume/tempo-scorre in Anna Livia Plurabella) i cui nomi deformati e cioè mescolati a disparate parole e significanti, stimolano percezioni e sensibilità simultanee;  sensibilità allusive, ambigue, una sensibilità combinatoria, sensibilità multi-dimensionale- mediale perchè allusiva.

 Riferisce Ettore Settanni in James Joyce e la prima versione italiana del Finnegans Wake, Venezia 1955.
‘Joyce sorrise, si avvicinò alla biblioteca, poi venne verso di me e mi indicò il gioco dantesco di «Pape Satan pape Satan Aleppe». «Padre Dante mi perdoni, ma io sono partito da questa tecnica della deformazione per raggiungere un’armonia che vince la nostra inteligenza, come la musica. Vi siete fermato presso un fiume che scorre? Sareste capace di dare valori musicali e note esatte a quel fluire che vi riempie gli orecchi e vi addormenta di felicità».

I passi dell'intervista a Carmelo Bene su l'Ulisse introducono ad un possibile impatto e lettura con/e dell' opera di Joyce, dice C.B.: "l'Ulisse ha cambiato la mia vita, radicalmente, ...Joyce ha cambiato le mie emozioni musicali, non musicistiche, i miei concetti di timbrica e ritmica...mi ha sconvolto il linguaggio" . Per C. Bene come a noi Joyce può sconvolgere, è possibile dire, la relazione la fissazione di un pensiero, con la "visione", e quindi con l'oralità. "Con Joyce, continua C.B., per la prima volta ci troviamo davanti a un pensiero dell'immediato, all' immediato pensiero, tanto che non pare scritto, pare sottratto alla scrittura stessa,...quanto viene pensato è reso attraverso l'immediato, questo non lo ha nessun altro autore al mondo ". "C'è una elettricità in Joyce sulla lingua, e c'è questo linguaggio che si arrende ai significanti, si rende, ne crea quasi degli incroci continui, dai quali non si esce, e i personaggi non esistono" "Riuscire a raccontare non raccontando,...il pensiero è quasi preso in giro e c'è questa immediatezza credo unica" .

Siamo in una rete quindi, e la testimonianza di Sanguineti ci porta dentro il flusso antico ma tutto contemporanea della oralità: "Nella scrittura critica io ho avuto sempre molto presente un’idea di comunicazione orale. [...] Ho sempre concepito la scrittura come una forma di comunicazione in cui la comunicazione orale è decisiva. Le poesie sono da eseguire, i testi teatrali, ovviamente oserei dire, lo sono per definizione, ma anche il romanzo come forma che ritrova nell’oralità quel rapporto col lettore che non sia della solitudine col libro”.
Ritorna dal passato l'oralità, la relazione con la voce e quindi la relazione con il suono (non con la nota o la fissazione grafica di una altezza/durata) con la comunicazione intesa come la ricerca di una come "comune-azione" d'ascolto.

“Ognuno possiede una voce – si legge ne La voce naturale di Kristin Linklater  – in grado di esprimere l’infinita varietà di emozioni, complessità di stati d’animo e sfumature di pensiero di cui fa esperienza”. Tuttavia e per diversi motivi (difese, inibizioni, reazioni negative a influenze ambientali ecc.) l’efficienza e l’importanza della nostra voce viene spesso ridotta al punto da snaturare la comunicazione".
Il tema della intonazione, del suono della voce, intesa come una delle tante voci della natura, della realtà è il tema proprio di T. Whishart.
Il timbro vocale, l'intonazione, sono l'archetipo della multi-dimensionalità del timbro, di tutti i timbri. Quel timbro che oggi, dal grande mutamento rappresentato grosso modo dalla Scuola di Vienna passando per Varesè, i Futuristi e il loro recupero del timbro del rumore, Messiaen e giungere a noi, è parametro fondamentale ma volatile e mutante, del nostro sonoro-musicale.

Joyce va letto con l'orecchio. Non è possibile, riprendendo Sanguineti, lasciare il lettore joyciano con la solitudine del libro. Il libro, quel libro, resterà chiuso, eternamente chiuso.
"L'Ulisse, continua ancora Carmelo Bene nell'intervista, "è l'esempio più fulgido di cinema, ma quello sulla pagina; non esiste un criterio del montaggio, di questa immediatezza;... l'Ulisse è soprattutto grandissimo cinema,...tutto quello che il cinema dai fratelli Lumiere in poi non è riuscito fare lo ha fatto Joyce: queste sono immagini, ma immagini di prima si direbbe, mentre il cinema non fa altro che riferire l'immagine morta del set;.."
Mary Ellen Bute, prima videomaker americana, con i sui passaggi su Finnegans, fa i conti, con il suo modo molto ingenuo, con questo scorrere di immediatezza, di flussi di pensiero e di immagini, si scontra con il problema di un montaggio, di una combinazione, del montaggio cinematografico, della simultaneità o multi-medialità ecc.
Con lo sviluppo dei sistemi di produzione e riproduzione multi-canale la cinematica del suono, il movimento del suono nello spazio (la spazializzazione sonora) è divenuto nuovo "cinema" ma per le orecchie. Oggi la spazializzazione del suono è elemento tanto importante della composizione elettroacustica quanto è stata l'orchestrazione per i compositori d'ottocento. La spazializzazione non è solo incremento di realismo, è lavorare (così come per secoli lo si è fatto tramite melodia, ritmo e armonia) sulla sensibilità. Lo spazio oltre che tempo (ammesso che si riesca a distinguere ancora un passato dal presente immersi come siamo in un flusso continuo di informazione, così come già s'annulla il confine fra realtà e finzione, concreto e fittizio) sono forme a priori della sensibilità.
All’elettronica Luciano Berio non chiedeva nuovi suoni, ma fenomeni in grado di interpretare la realtà. In Thema registra su nastro quadrifonico alcuni frammenti dell’undicesimo capitolo dell’Ulysses di Joyce, quello delle sirene, recitati da Cathy Berberian in inglese e in traduzione italiana (di Montale) e francese, disposti in forma fugata. La metamorfosi continua fra voce e musica e gli elementi disassemblati suggeriscono un’esperienza di “ascolto del linguaggio”; cioè di quanto sia convenzionale il modo con il quale si recepiscono suoni e significati.

In Come suona la torza rima 1.3 anche Francesco M. Paradiso utilizza brani di Joyce (Anna Livia Plurabella, la traduzione di Joyce stesso di alcuni passi di Finnegans Wake, segnatamente la parte finale “I fiumi scorrono”) e lavora sull’interazione fra suoni e linguaggio, ma per offrire una sorta di “Teatro dell’ascolto”. Grana vocale, timbro, intonazioni sono trattate come materia solida, per sfidare la comprensione aprendo i suoni allo spazio e fondendo le percezioni, far vedere uno spazio mentre s'ascolta. L’elettronica di Paradiso scende da Berio, dalla Scuola di Fonologia (e speriamo di poterlo dimostrare anche con la presentazione di un software per il live electronics originale ed appositamente concepito, che "rinasce" dalle ceneri della Fonologia): non mira a sovvertire ruoli, ma a creare un avvenimento di ascolto, ad approfondire il tentativo continuamente approssimato e tutto joyciano di musicalizzare, "oralizzare", la letteratura, a misurare quindi se la saturazione di stimoli è pari all’accrescimento della coscienza.