Musiche elettroniche di Luigi Nono e J. Harvey

Mortuos voco - lontananza nostalgica
Chiesa di San Fedele 15 ottobre 2020 ore 20
In collaborazione con Festival Milano Musica

Francesco D’Orazio, violino
Alvise Vidolin, regia del suono

PROGRAMMA

Jonathan Harvey (1939 – 2012)
Mortuos Plango, Vivos Voco (1980, 8’ 50’’)
per suoni concreti elaborati al computer in ottofonia

Luigi Nono (1924 – 1990)
La lontananza nostalgica, utopica, futura. Madrigale a più "caminantes" con Gidon Kremer (1988, 45’)
per violino e 8 nastri magnetici
 

Jonathan Harvey, Mortuos Plango, Vivos Voco,
per suoni concreti elaborati al computer (1980)

Tra gli autori inglesi del secondo Novecento, Jonathan Harvey ha una posizione appartata, sotto il segno di una intensa spiritualità e per l’apertura a punti di riferimento molto diversi, da Britten a Milton Babbitt e a Stockhausen. Allievo di Erwin Stein e Hans Keller, si è perfezionato a Princeton con Milton Babbitt nel 1969-70. Nel 1975 ha pubblicato un libro sulla musica di Stockhausen. Nel corso degli anni Settanta hanno attirato l’attenzione su Harvey diversi suoi lavori in cui si univano tecniche seriali e indagini sul timbro e sullo spettro sonoro.
Mortuos Plango, Vivos Voco (1980) è il primo dei pezzi cui Jonathan Harvey lavorò a Parigi all’IRCAM su invito di Pierre Boulez, fondatore e primo direttore dell’Institut de Recherche et Coordination Acoustique/Musique. In questo lavoro i suoni “concreti” preregistrati sono quelli della campana della cattedrale di Winchester e della voce infantile del figlio di Harvey, Dominique, che nella cattedrale di Winchester cantò nel coro di voci bianche dal 1975 al 1980. Una voce registrata di ragazzo fa parte dei materiali di un celebre pezzo di musica elettronica di Stockhausen del 1955-56, il Gesang der Jünglinge; ma da ogni punto di vista, musicale e tecnologico, il pezzo di Harvey è completamente diverso. Ne scrive l’autore in una nota che accompagna la registrazione nella collana IRCAM della Erato: La grande campana nera di sovrumana potenza porta l’iscrizione: “Horas avolantes numero, mortuos plango, vivos ad preces voco” (conto le ore che volano, piango i morti, chiamo i vivi alla preghiera). Questo testo è ripreso dalla voce di ragazzo. L’organizzazione delle altezze e la struttura temporale del mio pezzo si basano interamente sullo spettro sonoro ricchissimo e armonicamente irregolare della campana, una struttura che non è né tonale, né dodecafonica, né modale in stile occidentale o orientale, ma assolutamente unica.
Ognuna delle otto sezioni del lavoro si basa su uno degli otto parziali più gravi. Gli accordi sono costruiti da un repertorio di 33 parziali, le modulazioni tra diverse zone dello spettro sono realizzate con glissandi. Continue trasformazioni tra lo spettro di una vocale cantata e quello della campana sono realizzate manipolando le componenti interne dei due suoni. Si devono immaginare le pareti della sala che contiene il pubblico come il lato della campana intorno a cui l’anima del ragazzo vola liberamente (questo effetto si percepisce soprattutto nella versione originale per otto piste).

Luigi Nono, La lontananza nostalgica utopica futura.
Madrigale per più “caminantes” con Gidon Kremer (1988-89)

Questo pezzo per “violino solo e 8 nastri magnetici” fu composto nel 1988 ed eseguito per la prima volta a Berlino nell’ambito delle Berliner Festwochen, il 3 settembre 1988, nella sala piccola della Philharmonie (Kleine Philharmonie), con il titolo La lontananza nostalgica-futura. Un mese dopo, il 2 ottobre 1988, fu riproposto alla Scala, con lo stesso titolo e sempre con Gidon Kremer, e in seguito fu riveduto, perché l’edizione pubblicata (con dedica “a Salvatore Sciarrino ‘caminante’ esemplare”) ha il titolo lievemente cambiato (agli aggettivi “nostalgica futura” si aggiunge “utopica”) e sull’ultima pagina porta la data “31 gennaio 1989, Berlino”.
La parte del violino solo suonata dal vivo va collocata su sei diversi leggii, fra i quali l’interprete deve spostarsi secondo un percorso non lineare, quasi dando l’impressione di cercare: l’immagine del viandante che va individuando il proprio cammino con una costante ricerca, senza seguire strade certe e precostituite, ritorna con insistente frequenza nei titoli delle ultime opere di Nono (a questo proposito, si veda la nota su “Hay que caminar” soñando nel concerto del 26 ottobre 2020). E l’immagine di un cammino non rettilineo è suggerita anche dal modo in cui fu stampato il testo di presentazione di Nono in occasione dell’esecuzione alla Scala (qui riprodotto con qualche approssimazione grafica):

La lontananza nostalgica-utopica
mi è amica e disperante
in continua inquietudine.

Le rare qualità dei suoni
inventati da Gidon fanno
suonare i vari spazi
della Kleine Philharmonie. 

Nastri magnetici come voci
di madrigali si accompagnano
al violino solista e al live electronics. 
Voci di tanti “Caminantes”.

Come gli articolati spazi 
della Kleine Philharmonie 
offrono altri spazi per i
suoni originali di Gidon: 
lontani ‒ vicini ‒
incontri ‒ scontri – silenzi ‒ 
interni ‒ esterni ‒
conflitti sovrapposti. 

Nessuna elaborazione o trasformazione:
 i suoni di Gidon sono originali.
Tre giorni di registrazione pura allo
 Studio Sperimentale S.W.F. di Freiburg.

Ascolti infiniti ‒ tentativi
di scelte per affinità
elettive ‒ vari sentimenti
compositivi voce per voce
come i fiamminghi immaginifici.

E Gidon si abbandona ai vari
spazi con altra scrittura ‒
invenzione.
E li abbandona.

L’esecuzione milanese fu diversa dalla prima di Berlino: diverso lo spazio alla Scala, diverso il missaggio compiuto da Nono delle otto piste registrate su nastro, che creano una polifonia di otto percorsi, non di otto voci in senso tradizionale, cui si aggiunge il percorso del solista che suona dal vivo. A questo proposito, mi sembra utile citare un brano di una lunga intervista concessa da Nono all’“Unità” del 4 ottobre 1988 (oggi in Scritti e colloqui, vol. II, a cura di Angela Ida De Benedictis e Veniero Rizzardi, Ricordi, Milano 2001, p. 463): Kremer è stato nello studio di Friburgo per 3 giorni, ha registrato per più di cinque ore; poi con Rudi Strauss ho fatto una selezione, un’analisi delle varie qualità di suono di Kremer, fino ad arrivare per sottrazione a una composizione su otto piste. Questi otto cammini sono totalmente autonomi tra di loro, li ho composti in modo da far percepire tempi e qualità differenziati,
non mirando a una unitarietà, ma a una multipolarità di elementi. A Berlino ero molto insoddisfatto, perché nel lavoro che facevo al tavolo di missaggio mi sono lasciato andare a una specie di violino solo e accompagnamento.
Invece oggi i differenti cammini si incrociano, si allontanano, si perdono, ritornano, spariscono, si sovrappongono e di nuovo spariscono. L’accostamento degli aggettivi “nostalgica-futura” fa pensare a una concezione del tempo complessa, non convenzionale, non univoca.
“Futura” non va inteso in senso profetico, ma nell’oggi. Nel vivere ogni momento dell’oggi si scoprono e stabiliscono nuovi rapporti con ieri, l’altro ieri e il passato. La lontananza che si fa sempre più lontana per quello che riguarda il passato (e può essere, nel pezzo, una memoria di Schumann, di Verdi, di Brahms o anche di Schnittke), e insieme la presenza contemporanea, per esempio la qualità del suono di Gidon Kremer che continuamente è mobile, massimamente aereo e smaterializzato. Con lui sembra che sparisca la fisicità del suono di fronte alla qualità. Per me è sempre più importante sconfinare oltre gli schemi scolastici, dogmatici, rigidamente incasellati, fuori dalla unicità e univocità. Tentare di aprire non solo a oggi, non solo alla nuova tecnologia, ma riscoprire in modo nuovo aspetti del passato. Cambia il concetto del tempo e dello spazio. Diversi tempi possono stabilire fra di loro sempre nuove relazioni. I pensieri che si sovrappongono vivono contemporaneamente, anche se possono purtroppo essere detti solo uno alla volta.
Alle due esecuzioni dell’autunno 1988 non ne seguirono altre con Kremer e con la regia del suono dell’autore. A questo pezzo, il penultimo nel catalogo di Nono, seguì soltanto “Hay que caminar” soñando per due violini. Anche qui i due interpreti devono crearsi un percorso tra diversi leggii, non soltanto per evocare l’immagine del viandante: il “camminare” che Nono chiede loro si lega anche al suo interesse per il movimento del suono nello spazio e per la sperimentazione di diversi modi di “far suonare” lo spazio, creando situazioni acustiche comunque non statiche, scoprendo le potenzialità di ambienti diversi. “Hay que caminar” soñando tuttavia si rivela affine alla Lontananza soltanto per questo aspetto “scenico-musicale”, e perché entrambi i pezzi appartengono alla fase ultima della ricerca di Nono, a un pensiero musicale rivolto a una inquieta interiorizzazione, a un complesso procedere per frammenti, a un ansioso, incessante interrogare, a sospesi incantamenti, a una tensione visionaria scavata in una dimensione sempre più ascetica ed essenziale. All’interno di questa ricerca, la scrittura dei due pezzi si rivela diversa.
Nella Lontananza, un frammentato e labirintico intrecciarsi di percorsi è creato dalle otto piste su nastro e dalla parte per violino suonata dal vivo, e fra questa e le altre parti si stabilisce un gioco di riflessi, ombre e intersezioni teso a creare uno spazio e un tempo non univoci, in una molteplicità e  frammentata complessità dei percorsi indipendenti.
L’insofferenza di Nono per l’opera “compiuta”, definita una volta per tutte, aveva trovato nel live electronics un mezzo che gli consentiva di cambiare qualcosa ogni volta, in rapporto all’ambiente, agli interpreti, o ad altre variabili. Nel caso della Lontananza, il compositore si spinge all’estremo, pubblicando la parte per violino senza fornire alcuna indicazione sui rapporti che si creano tra il solista e le altre voci del madrigale, quelle registrate su otto piste. Egli stesso, un mese dopo la prima berlinese, di cui non era soddisfatto, li aveva modificati profondamente a Milano. E scelte diverse hanno fatto gli interpreti che si sono accostati a questo pezzo.
La parte solistica invece è scritta con minuziosa ricchezza di dettagli e di indicazioni sulla ricerca del suono: la difficoltà si pone ovviamente agli antipodi del virtuosismo spettacolare per indagare sull’essenzialità del suono, alle soglie del silenzio, concentrandosi nazioni. Nono chiede all’interprete un analitico ed estremo controllo del suono, spesso ai limiti dell’udibile, con frequenti “flautati”, con una grande varietà di colpi d’arco, e in certi casi con un’intonazione mobile, cangiante per microintervalli (inferiori a un sedicesimo di tono). Tra momenti di maggiore mobilità e indugi contemplativi, emerge in questa scrittura una struggente tensione al canto, un anelito che si manifesta fra l’altro in didascalie come “tutto cantato dolcissimo come ricordi come sogni come echi” (sezione del secondo leggio). Non mancano violenti contrasti. Le sei sezioni del pezzo sono chiaramente separate dagli spostamenti del solista da un leggio all’altro. La terza, almeno nella parte solistica, è l’unica priva di contrasti: si legge “Tutto ppppppppp cantando dolcissimo con voce ove possibile…” (si noti che Kremer non cantava con la voce; ma altri interpreti lo hanno fatto). Il pezzo si mantiene sul filo di una tensione inventiva, di un’inquietudine che conosce sospesi incantamenti, silenzi arcani, solitudini desolate.
Paolo Petazzi