SACRO IN MUSICA

Missa in Do di L. van Beethoven
Chiesa di San Fedele Domenica 23 aprile 2017 ore 17.00
Ludwig van Beethoven (1770 - 1827)

SIINFONIIA N.. 1 OP.. 21
in do maggiore (1799 - 1800)
I. Adagio molto - Allegro con brio
II. Andante cantabile con moto
III. Menuetto. Allegro molto e vivace
IV. Finale. Adagio - Allegro molto e vivace

MESSA OP.. 86
in do maggiore (1807)
per soli (SATB), coro (SATB) e orchestra

KYRIE. Andante con moto assai vivace
GLORIA. Allegro con brio
CREDO. Allegro con brio
SANCTUS. Adagio
BENEDICTUS. Allegretto ma non troppo
AGNUS DEI. Poco Andante

In collaborazione con la Fondazione Milano e la Civica Scuola di Musica C. Abbado
Per il ciclo Sacro in Musica si rinnova la collaborazione con Ia Fondazione Milano e I Civici Cori e Orchestra della Civica Scuola di Musica Claudio Abbado diretta dal M° Mario Valsecchi; viene proposta una Messa poco eseguita di L. van Beethoven del 1807. Una composizione luminosa e pacata. Rispetto alle precedenti creazioni nello stesso genere lasciateci da Haydn e da Hummel, la prima Messa di Beethoven presenta in effetti caratteri di marcata novità linguistica. Il programma tutto beethoveniano si apre con la prima sinfonia in Do maggiore, opera con cui il genio di Bonn sembra confrontarsi più con i modelli offerti da Haydn piuttosto che quelli mozartiani, tuttavia si possono riscontrare elementi di grande novità: come la sorprendente introduzione con l “adagio molto”, lo stile di contrasto con cui vengono esposti due temi nel primo movimento, mentre nel terzo con la scelta di un tempo “Allegro molto e vivace” in luogo del “Minuetto” prefigura la nascita dello “Scherzo” beethoveniano” che comparirà a partire dalla successiva seconda sinfonia.
Rispetto alle precedenti creazioni nello stesso genere lasciateci da Haydn e da Hummel, la prima Messa di Beethoven presenta in effetti caratteri di marcata novità linguistica. La dolcezza dell'incipit del Kyrie possiede un calore così umano, un tratto così comprensivo che la sua morbida arcata ascendente e discendente avvolge subito in un abbraccio sonoro. Non c'è dunque il piglio solenne e fastoso che di solito le Messe precedenti adottavano come atmosfera d'esordio. L'entrata dei solisti accentua il clima implorante creando un fruttuoso contrasto tra la massa corale, simbolo dell'umanità tutta e i soli, immagine del singolo. Si nota sin da subito che l'orchestra non crea uno sfondo alle voci ma è un vero e proprio protagonista: tra l'umanità e il singolo la musica sembra qui porsi come interlocutore con il divino: ne deriva un rapporto tra voci e orchestra totalmente nuovo. La festosità arriva col Gloria: il trionfo iniziale è subito venato da sfumature di dubbio, fugato da accenni di un andamento imitativo ma confermato poi da un chiaroscuro generale di potente impatto espressivo. Beethoven intende creare un'opera unica nel suo genere, mobilissima e nuova, ricca di variegati atteggiamenti espressivi. Nuova è anche l'orchestrazione del Qui tollis peccata, momento per il quale Beethoven inventa un andamento ansimante, simbolo della preoccupazione, di toccante fattura. Altra novità dell'opera è nel trattamento delle voci, la cui matrice non è reperibile nello stile lirico e teatrale, ma in quello cameristico, o meglio liederistico. La scrittura polifonica adottata da Beethoven è infatti un affascinante ibrido tra stile del Lied da camera e polifonia classica. Luogo privilegiato di questa sperimentazione è il Credo nel quale (come nel Gloria) Beethoven continua a privilegiare per le voci la scrittura polifonica, affiancandola però a strutture indubbiamente sinfoniche, dando modo all'orchestrazione di manifestare una maggiore libertà tematica e armonica. L'efficacia iniziale del Credo, verbo che sale dal piano alla squillante conferma corale, è dovuta anche all'espediente sinfonico del "crescendo" che, legato qui a una parola chiave della fede cristiana, funziona come amplificatore di senso. Particolarmente nel Credo la Messa si dimostra sempre più una "Messa-Sinfonia", soprattutto lì dove Beethoven riesce a mantenere intatta per tutto il brano quella struggente dolcezza che il Kyrie aveva posto a suggello della composizione. Non mancano poi "immagini sonore", un espediente creativo che appartiene da sempre alla creazione d'ambito sacro: i ribattuti degli archi durante il Crucifixus vogliono forse mimare l'entrata del chiodo nel momento in cui viene evocata dal testo la crocifissione. Anche l'inizio del Sanctus è momento di grande suggestione: la calibrata e pacata intonazione, con atteggiamento contrario alle scelte tradizionali, ha il valore di una meditazione. L'orchestra vi traccia pensosi fili fino all'esplosione del Pieni sunt coeli et terra sfociante nel nuovo fugato sul testo dell'Hosanna in excelsis. I passi contrappuntistici hanno qui una funzione mimica ed evocano la presenza del divino sulla terra: le voci si muovono come strumenti di una volontà superiore, del suo perfetto meccanismo. Con il Benedictus si torna alle sfumature liederistiche che caratterizzano la Messa. Con simili modalità la declamazione addolorata dell'Agnus Dei è caratterizzata da un'esclamazione "chiave": l'implorazione miserere nobis. L'orchestra ha però nell'Agnus Dei voce primaria: le poche parole cui il testo si riduce lasciano alla musica l'incarico di dare gradazioni sempre nuove al sentimento religioso fino alla sorprendente chiusa, dove la Messa termina con toni pacati e sognanti, meditativi, così come era iniziata. Nonostante la grande ricchezza delle scelte messe in campo, Beethoven infonde natura unitaria alla composizione partendo da un "affetto" solo: lo interessa quella pienezza intima che la fede, rifuggendo ogni pompa celebrativa, può apportare alla silenziosa coscienza del singolo.