Stalker di Andrej Tarkovskij

Auditorium San Fedele, Via Hoepli 3a 31 maggio 2021 
testo/musica

31 maggio 2021

Auditorium San Fedele, ore 18

 

 EVENTO SOLD OUT

 

Proiezione acusmatica del film
Stalker (1979) di Andrej Tarkovskij

interpretazione acusmatica di Giovanni Cospito
In collaborazione con il Festival Milano Musica


Titolo originale Сталкер
Paese di produzione Unione Sovietica, Repubblica Democratica Tedesca
Anno 1979
Durata 161 minuti
Regia Andrej Arsen'evič Tarkovskij
Soggetto Arkadij e Boris Strugackij (romanzo Picnic sul ciglio della strada)
Sceneggiatura Arkadij e Boris Strugackij, Andrej Arsen'evič Tarkovskij
Casa di produzione Mosfilm, Vtoroe Tvorcheskoe Obedinenie
Distribuzione in italiano CIDIF
Fotografia Aleksandr Kniažinskij
Montaggio Ljudmila Fejginova
Musiche Eduard Artem'ev - estratti dalla Marsigliese di Claude Joseph Rouget de Lisle, dal Bolero di Maurice Ravel, dalla Nona Sinfonia di Ludwig van Beethoven, dalla Overture del Tannhäuser(Wagner) di Richard Wagner
Scenografia Andrej Arsen'evič Tarkovskij
Costumi Nina Fomina
Interpreti e personaggi
    Aleksandr Kajdanovskij: Stalker
    Anatolij Solonicyn: Scrittore
    Mykola Hrin'ko: Professore
    Alisa Frejndlich: moglie dello Stalker
    Nataša Abramova: Martyška (Scimmietta), figlia dello Stalker

 


     Proiezione con l’Acusmonium SATOR del grande film di A. Tarkovskij. Lo scopo non è quello di creare effetti fonici speciali o di aggiungere sonorità non previste dal regista. Si tratta di spazializzare, durante le proiezioni, unicamente le colonne sonore e il materiale audio dei tre film. L’Acusmonium non ha dunque la funzione di potenziare il suono, ma contribuisce a rendere più percepibile l’unità immagine/suono nell’esperienza cinematografica. L’elemento sonoro, nel linguaggio del cinema, viene spesso concepito come un elemento esterno, aggiunto successivamente al film, nella fase del montaggio. Non è così per Tarkovskij che auspicava, da parte dei registi, una maggiore compenetrazione tra suono e immagine.

    SINOSSI
    Uno scrittore e uno scienziato si fanno guidare da uno «stalker» – in inglese: cacciatore alla posta – all’interno di una zona proibita, dove esiste una camera nella quale si possono esaudire tutti i desideri. Allegoria sulla tentazione della fede e sul rapporto dell’uomo moderno col sacro: grazie alla forza delle immagini, Tarkovskij spesso riesce a lasciarsi alle spalle i cascami letterari (Tolstoj e Dostoevskij) e a parlare allo spettatore direttamente. Straordinaria l’ambientazione in un labirinto di gallerie in disfacimento e invase dall’acqua: e riuscita la fusione tra realismo quotidiano e fantastico. Il ritmo è stremante e i piani sequenza provano la resistenza dello spettatore, ma lo sforzo in questo caso è ripagato (da Il Mereghetti, Dizionario dei Film, Milano 2006).

    APPUNTI SUL FILM
    Venuta da tolstojane lontananze, la voce di Tarkovskij riecheggia la tradizione spiritualista russa, filtrata dal decadentismo e dalla polemica contro il materialismo storico. Con un timbro di sempre altissima qualità lirica. Non soltanto riscatta l’umanesimo banale di cui si riempie così spesso la bocca la cultura sovietica: segna un punto d’arrivo nel cammino dell’espressione contemporanea, ovunque sia intesa a dare forma, coll’immagine e il suono, ai grumi dell’inconscio.
     Il suo messaggio è antico, anzi perenne: la vera realtà è quella interiore, se nella vita non ci fosse il dolore non ci sarebbero nemmeno la felicità e la speranza, la forza del pensiero può muovere le montagne, chi ha paura di desiderare ha l’anima vuota. Ma è un messaggio praticabile con tormento: anche chi lo ha raccolto vive nella paura e nella contraddizione. Mentre si offre come guida dentro il mistero, teme di penetrarlo. Vuole la felicità, e la sa irraggiungibile. Di più, s’inventa trappole per allontanarla. E tuttavia questa è la vita: un viaggio nel sogno della fede, compiuto da un  eroe che la fragilità santifica, chiamato a trasmettere la potenza dello spirito.
    Il senso dell’apologo, quanti altri mai autobiografico, è affidato a un racconto fantastico, al quale ha dato spunto la novella Pic-nic sul ciglio della strada dei fratelli Strugatskij, venuti a sceneggiarla. Vi si suppone che un puro di cuore, dunque un emarginato, lasci all’alba la sua stamberga dove vive con la moglie e la figlia paralizzata alle gambe (ma alla fine vedremo tutta una parete del tugurio è vestita di libri) e guidi uno Scrittore e uno Scienziato in una terra di nessuno, la Zona, protetta da filo spinato e sorvegliata da guardie.
    Lo chiamano Stalker – da to stalk, andare di soppiatto sulle piste della selvaggina – perché fa di mestiere il battitore clandestino nella Zona né vuole desistere benché ne sia già stato punito con la galera. La mèta qual’è? Una Stanza che ha il magico potere, a quanto si dice, di realizzare i desideri. Il viaggio è molto rischioso, in un terreno seminato di residui bellici che si teme possano esplodere, di piante che potrebbero essere velenose e putridi acquitrini. I tre avanzano con prudenza e paura fra gli avanzi di una civiltà di turpi carcasse e fiori senza profumo. E durante il cammino svelano i propri caratteri: l’uno mondanamente incuriosito dalla novità che può rinverdire la sua ispirazione di scettico letterato, l’altro ambiziosamente rivolto a un conquista scientifica che gli dia fama, lo Stalker diviso fra il timore e la speranza che i suoi due clienti abbiano il coraggio di varcare la soglia prodigiosa.
    Invece accade che, raggiunta una casa fatiscente dopo un lungo aggirarsi nei paraggi, nessuno si azzardi a entrare nella Stanza. Forse perché, se accadesse, l’umanità potrebbe realizzare le sue aspirazioni più  segrete, in primo luogo la funesta volontà di dominio. O forse perché lo Scrittore e lo Scienziato (che ha rinunziato a farla saltare con una bomba) non credono più in nulla, nemmeno nella possibilità di avere degli ideali. Per cui accade che, ritiratisi i tre dalla Zona, lo Stalker accusi e disprezzi i clienti, e rientri nella sua casa. Dove la moglie cerca di confortarlo e la bimbetta sposta gli oggetti col pensiero. Come dire che l’ignoto è accanto a noi, e la gioia (espressa dall’Inno di Beethoven) può essere colta nella coscienza del soprannaturale […].
    Per godere appieno il film conviene romanticamente abbandonarsi alla strumentazione scenografica dello stesso Tarkovskij, al paesaggio marcio della prima parte (in bianco e nero con riflessi glauchi), non priva di echi bergmaniani, ai colori sinistri della natura deturpata dai ruderi metallici, all’evidenza materica delle figure tanto spesso riassunta nel periplo del cranio, a una colonna sonora che è da sola un capolavoro di Eduard Artemev (da Giovanni Grazzini, Cinema ’81, Bari 1982).