Carlo Ciceri (1980) selezionato per il secondo anno
Ha iniziato a studiare pianoforte con Giampiero Semeraro, diplomandosi al Conservatorio di La Spezia. In seguito intraprende gli studi di musicologia e si laurea a Cremona con Gianmario Borio che lo indirizzerà verso la musica contemporanea. Studia inoltre direzione d’ensemble al Conservatorio della Svizzera Italiana con Giorgio Bernasconi. Gli studi di composizione iniziano a Lugano, con Nadir Vassena per proseguire con Giovanni Verrando e, in Francia, con Jacopo Baboni-Schilingi con il quale approfondirà molti aspetti legati alla musica elettronica, all’analisi e all’estetica musicale. In questi anni inizia a prendere forma il progetto di due cicli compositivi: IA (per strumento ad arco solo) e VASTA (per viola e ensemble). Tra i progetti futuri vi è la realizzazione di un’opera per ensemble amplificato, scritta per il Divertimento Ensemble, che si articola a partire dalla riflessione sulla musica barocca e sulla sua prassi interpretativa. Un altro progetto, legato alla multimedialità, prenderà forma a Lugano e riguarderà le musiche per il “Suono Giallo” di Kandinsky. Musica barocca e multimedialità, questi due mondi (apparentemente inconciliabili) sono al centro degli interessi della musica di Carlo Ciceri e lo hanno spinto a creare un collettivo di ricerca, Terza Practica, che produce spettacoli di teatro multimediale, prevedendo l’utilizzo di strumenti barocchi amplificati. Come specifica lo stesso compositore “le motivazioni che hanno fatto nascere questo progetto sono principalmente tre: la prima, fondare un proprio ensemble che mettesse in comunicazione il più possibile due mondi lontani, ridimensionando le differenze ed anzi proponendo una tipologia d’ascolto comune, favorendo un’esperienza musicale il più possibile intima e circostanziata; la seconda, elaborare una pratica di produzione dell’opera che consideri, specialmente in virtù del forte impiego tecnologico, tutte le arti coinvolte come una sola macro-arte, favorendo dunque la fruizione il più possibile organica; la terza...proporre un modello di produzione e...di fruizione che renda esplicita la funzione rituale di un’opera...”. E’ tra queste due polarità di si orienta, dunque, la ricerca compositiva condotta da Carlo Ciceri in questi anni, nella possibile sintesi tra orizzonti di senso così lontani, ma anche capaci di influenzarsi reciprocamente.
Sito Internet:
//www.carlociceri.com/public/index.php?lingua=PRESENTAZIONE OPERA
Il mio intervento prende in considerazione una fra le relazioni possibili fra funzione e fruizione musicale, ovvero una relazione di dipendenza tra il "come" comporre in maniera funzionale al "perché". Questa riflessione è una delle possibili domande al tema del "dove" sono/vado e tenta di rispondervi con un'ulteriore domanda, ovvero "come".
Se è vero che la musica esiste quando espleta una funzione sociale, ovvero mette in relazione il fenomeno con la sua interpretazione (in altre parole, attiva una domanda ontologica sul fenomeno), è necessario chiedersi quali sono le modalità possibili e le conseguenze che alcune proprietà del fenomeno implicano.
Con questo intento ho scritto il ciclo VASTA, costituito da 5 brani per viola solista e ensemble, ho affrontato il tema della "dissipazione".
Per dissipazione intendo una convergenza di linee di tensione comunemente orientate, di segno negativo, dispiegate in un arco di tempo sufficientemente esteso.
Per linee di tensione intendo le proprietà che appartengono alla forma del pezzo cosiccome alle singole relazioni tra elementi strutturali; ad esempio appartengono al primo caso le riproposizioni di materiali morfologicamente simili in momenti diversi del ciclo, che ricoprano o no la stessa funzione formale (transizione, introduzione, coda, etc); al secondo caso elementi locali quali ad esempio crescendo, accumulazione, densità.
L'orientazione comune, la convergenza, è funzionale al messaggio poetico, in questo caso appunto la "dissipazione"; la convergenza è articolata in maniera non lineare per mantenere attive, rinnovandole, le tensioni (tale necessità deriva dalla lunghezza del brano, circa 40 minuti).
Il segno negativo che accomuna queste tensioni fa sì che da una parte le funzioni formali si articolino con sempre meno fratture durante la forma globale del pezzo (quindi attraverso livellamento/sporadicità di elementi contrastanti, chiarificazioni delle funzioni formali come la funzione di coda o di fine); dall'altro gli elementi locali si diradino (quindi meno strumenti, meno attività, meno decibel, meno livelli prospettici).
Il dispiegarsi di questo percorso durante un intervallo lungo attiva una reazione principale, ovvero quello della sospensione del tempo percepito, ovvero un'esperienza fenomenologica sempre meno coscientemente attiva, sempre più corporo-centrata, biologica.
Mutando lentamente le condizioni fisiche di ascolto mutano così anche le condizioni sociali; ad esempio il lento abbassamento dei decibel, l'aumento della componente più inarmonica degli agglomerati sonori, la diradazione degli eventi, la densità sempre minore degli strumenti coinvolti, l'attività, infine, che tende progressivamente alla stasi avvicinano chi ascolta ad uno stato estatico, come tale vissuto come fatto privato (in questo dunque differente dal coinvolgimento sociale proprio dello stato di trance). A questo scopo è fondamentale porsi il problema dello spazio in cui ha luogo questo processo: è evidente che le proprietà di prossimità, di adeguatezza degli strumenti al luogo, sai fondamentale tanto riguardo al visivo che all'uditivo. Tale intimizzazione, proprio perché contemporaneamente graduale e discontinua, confonde dunque il "dove" di chi percepisce, non attraverso l'annullamento tra lui e l'opera, ma attraverso una fusione indotta tra lui come essere che interpreta (ovvero che giudica) e lui come essere che percepisce. Non si tratta dunque di una condizione altra, di un superamento degli opposti, ma di una molteplicità, di una contemporaneità del porsi.
Questo tipo di esperienza "costruita" tende ad annullare la finzione propria di un'opera d'arte, (finzione intesa come alternativa dichiarata ad una realtà quotidianamente percepita) attraverso la con-fusione dei piani giudicante-percettivo. Questo ha come conseguenza da una parte una ricreazione di una situazione rituale, di tipo artistico, dall'altra l'attribuzione al dispiegarsi dell'opera di uno statuto di necessità, statuto che è proprio di una funzione sociale. Tale necessità pone dunque l'intimità come differenza, come alternativa ad una pur condivisa fisicamente esperienza in un dato un luogo e di un dato tempo. La contemporaneità, dunque, come delimitazione di un proprio spazio intimo in un luogo del "sentire" vissuto collettivamente; come ricerca costante di questo limite, avvertito come condizione necessaria per cui si riveli una manifestazione artistica.