Vittorio Montalti (1984) Selezionato per il secondo anno
Romano, nella sua città natale si è diplomato in pianoforte al Conservatorio di Santa Cecilia e ha iniziato a studiare composizione; attualmente studia con Alessandro Solbiati al Conservatorio di Milano ed è proprio con Alessandro Solbiati che ha iniziato a svilupparsi il tratto più personale del suo pensiero compositivo. Altre figure importanti nel suo percorso sono stati Luca Francesconi (che, come dice lo stesso Vittorio Montalti “mi ha svelato nuove maniere di pensare la musica”), Gabriele Manca che, dice, “mi ha spinto ad avere meno pudore nella scrittura” e Luca Antignani. Tra i riconoscimenti che gli sono stati assegnati, nel 2010 gli è stato conferito il Leone d’Argento per la Musica alla Biennale di Venezia. Alcuni aspetti del suo linguaggio sono stati sviluppati, in questi anni, a partire da una serie di lavori quali “Nu descendant un escalier”, “Passacaglia” “Taureau”, “Bestiaire” e “Dittico” in cui il compositore sperimenta la messa a fuoco delle sue personali concezioni relative al timbro (inteso come suono complesso, spesso generato attraverso l’impiego di strumenti preparati), all’armonia, alla forma (attraverso la ricerca sul concetto di ripetizione ossessiva e sui suoi effetti sul territorio della percezione) e al teatro. Nelle parole dello stesso Vittorio Montalti i musicisti che hanno influenzato il suo lavoro in questi anni sono stati “Mahler per il suo perenne sforzo di poter dire tutto sulla vita in una sola sinfonia, Ravel per il suo interesse per la “meccanicità” e per essere stato il primo a preparare il pianoforte, Ligeti e Grisey per la forte capacità comunicativa unita ad una formalizzazione rigorosa, Aperghis e Romitelli per lo studio su un suono complesso/rumoroso e sulla ripetizione, i Beatles e Zappa per l’apertura mentale che spesso manca ai compositori d’oggi ed infine quello che – ritiene essere assieme a Stravinsky e Ligeti uno dei musicisti più importanti del secolo scorso – Miles Davis. Nel suo essere compositore, nel suo scrivere musica Vittorio Montalti intrevede un bisogno primario in cui preservare una autonomia di pensiero che posso contrastare la tendenza all’omologazione della cultura egemone. In questo senso, dice, occorre riscoprire il ruolo del sacro (“inteso come ciò che è separato, come ciò che l’uomo non riesce a spiegare e a dominare”) laddove abitano le energie pure. Energia è dunque un termine essenziale per comprendere il lavoro di Vittorio Montalti, energia nel senso di forza capace di immaginare nuove abitudini percettive, di sperimentare nuove modalità di produzione del suono e di creare nuove forme.
Sito Internet:
montalti vittorioIntervento del 16 ottobre 2010 alla Fondazione Culturale San Fedele – Settore Musica
Sono nato a Roma nel
1984. Ho iniziato lo studio della musica a 12 anni; mi sono diplomato in
pianoforte al conservatorio di S.Cecilia di Roma dove ho frequentato anche il
corso di composizione. Attualmente sto concludendo il triennio di composizione
al conservatorio di Milano con Alessandro Solbiati.
In questi anni di
formazione ho avuto modo di incontrare molti compositori. Tra i tanti vorrei
citare quelli che più mi hanno influenzato: Alessandro Solbiati da cui ho
appreso molto di quello che so sulla composizione, Luca Francesconi che mi ha
svelato nuove maniere di pensare la musica, Gabriele Manca che mi ha spinto ad
aver meno pudore nella scrittura ed ultimo ma non meno importante Luca Antignani
il cui esempio mi ha aiutato a sviluppare una ferrea autocritica.
Grazie a questi
importanti insegnamenti mi sono distinto in diversi concorsi; l’ultimo
riconoscimento è stato Il Leone d’Argento per la musica assegnatomi da La
Biennale di Venezia 2010.
Negli ultimi anni sto
portando avanti una ricerca personale su alcuni aspetti che mi stanno a cuore e
che ha dato vita ad alcune composizioni cui tengo particolarmente: Nu
descendant un escalier, Passacaglia, Taureau, Bestiare e
Dittico. Gli aspetti che accomunano queste opere sono: timbro (c’è
sempre in questi brani la ricerca di un suono complesso ottenuto spesso con la
preparazione strumentale), armonia, forma (lo studio sulla ripetizione
ossessiva è evidente in questi lavori) e teatro.
Parallelamente ho
iniziato un lavoro di trascrizione di diversi brani della tradizione.
In questo lavoro di
ricerca i musicisti che, direttamente o indirettamente, mi hanno influenzato
sono molti. Provo a citarne alcuni: Chopin per la sua visionarietà, Mahler per
il suo perenne sforzo di poter dire tutto sulla vita in una sola sinfonia,
Ravel per il suo interesse per la “meccanicità” e per essere stato il primo a
preparare un pianoforte, Ligeti e Grisey per la forte capacità comunicativa
unita ad una formalizzazione rigorosa, Aperghis e Romitelli per lo studio su un
suono complesso/“rumoroso” e sulla ripetizione, i Beatles e Zappa per
l’apertura mentale che spesso manca ai compositori d’oggi ed infine quello che
ritengo essere assieme a Stravinsky e Ligeti uno dei musicisti più importanti
del secolo scorso: Miles Davis.
I progetti attuali (che
includono un lavoro per Annamaria Morini ed Enzo Porta ed un altro per il
Divertimento Ensemble) saranno una maniera per portare avanti queste ricerche e
ad integrarle con l’elettronica.
Finora ho spiegato cosa
faccio nella mia musica. Ma perché scrivo? Prima di tutto perché è qualcosa di
cui non posso fare a meno, un bisogno primario e poi perché condivido quello
che diceva Niki de Saint Phalle “A me da più soddisfazione di fare qualcosa
di bello per gli altri e per me che AVERE, AVERE, AVERE .... sempre di Più, dI
Più, di Più ...”
Detto questo penso che
nel mondo di oggi i medium di massa abbiano svolto un lavoro di normalizzazione
del pensiero e di manipolazione delle coscienze. La politica non esiste e la
nostra cultura pare aver relegato il sacro in un mondo dell’oblio.
L’unica risposta mi
sembra quindi la proposta di una autonomia di pensiero e stile che possa
contrastare questa tremenda omologazione, un trattamento del materiale, come
diceva Romitelli, “capace di produrre uno scarto più o meno significativo
nelle nostre abitudini percettive, una crepa in una situazione di comunicazione
prestabilita, scontata, rassicurante, normalizzata.”
Dobbiamo
dunque riscoprire la sfera del sacro (inteso come ciò che è “separato”, come
ciò che l’uomo non riesce a spiegare e a dominare) avventurandoci, per dirla
con Francesconi, lì dove abitano le energie pure come ha fatto lo Stalker di
Tarkovskij. “Prima parlavate del senso della nostra vita, del disinteresse
dell’arte. Ecco, per esempio, la musica. La musica è legata ben poco alla
realtà; o meglio, anche se è legata, lo è senza ideologie, meccanicamente, come
un suono vuoto, senza associazioni. E tuttavia la musica, per un qualche
miracolo, penetra l’animo umano. Cosa risuona in noi in risposta al rumore
elevato ad armonia? E come si trasforma per noi nella forma di immenso piacere?
E unisce [...] e commuove. A cosa serve questo? E soprattutto a chi?
Risponderete, a nessuno e a nulla. Così, disinteressatamente. No, è improbabile
[...] perché tutto in fin dei conti ha un senso, un senso e una ragione”
(Lo Stalker)