Venturini Franco (1977) Selezionato per il secondo anno
(Foto: Paride Galeone)
Si è accostato alla musica iniziando a studiare pianoforte, per poi dedicarsi alla composizione, studiando con Gilberto Cappelli e Paolo Aralla; attualmente studia con Ivan Fedele presso l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia di Roma. Ha inoltre preso parte al Centre Acanthes a Metz e ai Ferienkurse für Neue Musik di Darmstadt. Influenzato anche dall’approfondimento della musica elettronica (inizialmente ispirata a lavori per nastro per poi approdare all’elettronica gestita in tempo reale) la sua ricerca si è da subito indirizzata nell’elaborazione di tecniche strumentali in grado di modulare le qualità intrinseche dei suoni. Tra i suoi lavori, “Erodìa” per viola (poi trasformato in un lavoro per due viole ed elettronica) rappresenta un punto importante all’interno del suo percorso creativo: partendo da un materiale musicale estremamente essenziale, questo viene “espanso nelle sue possibilità intrinseche per mezzo di trasformazioni delle tecniche di emissione sonora peculiari degli strumenti ad arco”. La forma generale del lavoro (una sorta di passacaglia spiraliforme) ripropone un atteggiamento tipico nella concezione formale della musica di Franco Venturini in cui la ripresa degli oggetti musicali viene ampliata attraverso l’osservazione della loro natura interiore. Un altro lavoro, in cui la ricerca sulle tecniche di produzione del suono rivela risultati sonori sorprendenti, è “Kronarchìa” per flauto soprano, due flauti Paetzold e live electronics, nato dalla collaborazione con Antonio Politano e la sua classe di flauto dolce del Conservatorio di Losanna, ed è proprio il lavoro a stretto contatto con gli interpreti alla base dell’impiego di tecniche sperimentali applicate a questi strumenti.
Come pianista si è dedicato nel corso degli anni sempre più al repertorio contemporaneo, divenendo il pianista del FontanaMIX Ensemble; questa esperienza gli ha permesso di entrare in contatto con un gran numero di partiture dei giorni nostri, ma anche di comprendere le necessità del comporre anche dal punto di vista più pragmatico dell’interprete. Nei suoi lavori più recenti, accanto all’interesse nei confronti “delle tecniche strumentali per modulare il timbro ed elaborare il materiale musicale dall’interno” ha preso forma una ricerca sulle architetture musicali in cui lo sviluppo dei materiali compositivi procede seguendo percorsi indipendenti rispetto allo sviluppo delle strutture, spesso articolate a partire da un’idea sonora o gestuale derivata da ambiti artistici differenti, come ad esempio la letteratura.
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venturini francoPRESENTAZIONE OPERA
Sin dall’inizio dei miei studi musicali, l’ascolto e ancor più lo studio e l’approfondimento personale del repertorio di tradizione e poi di quello contemporaneo hanno focalizzato i miei interessi sull’importanza dello sviluppo di un’idea; la lezione che ho colto dalle grandi opere è che un’idea è condizione necessaria ma non sufficiente all’atto creativo; la sua manipolazione, la capacità di intuirne potenzialità di sviluppo e portarle in atto è l’essenza di un’opera.
E quanto più l’idea è essenziale tanto più saranno messi in atto meccanismi di ricerca sulla stessa.
La mia ricerca si è incentrata sul concetto di modulazione contestualizzato ai parametri contemporanei, ossia relativo a componenti intrinseche alla sostanza sonora, alle “molecole” del suono, sfruttando l’evoluzione tecnica strumentale e l’ausilio del mezzo elettronico.
Posso riassumere le caratteristiche centrali nel mio approccio creativo in:
• economia del materiale alla base della composizione;
• massima ricerca sulle possibilità di sviluppo del materiale e sulla sua organizzazione formale;
• ricerca sulle tecniche strumentali peculiari come strumenti di modulazione delle componenti intrinseche del suono;
• ricerca sul mezzo elettronico come ulteriore risorsa di sviluppo e ampliamento dell’elaborazione all’interno del suono.
Un’opera rappresentativa della mia dimensione compositiva è Erodìa, per 2 viole e live electronics, la cui prima versione risale al 2005, revisionata in via definitiva nel 2009 per l’esecuzione alla 53a Biennale Musica di Venezia ad opera dei solisti del FontanaMIX Ensemble.
L’intera composizione trae origine da un gesto sonoro chiaramente definito nelle sue caratteristiche: dinamica costante, emissione con netta fase di attacco e mantenimento con tenuta della pressione dell’arco sulle corde. L’esplorazione interna del suono iniziale, con un percorso di transizioni fra diverse modalità di emissione ed articolazione proprie delle tecniche peculiari dello strumento viene a strutturare dei cicli (come nella storica forma della “passacaglia”) delimitati in apertura e chiusura da gesti strumentali (tenuto, jeté) fortemente connotati; i cicli sono espansi nella dimensione temporale verticale (densità) e orizzontale (durata), in una sorta di forma a spirale.
L’elettronica insieme al duo/doppio strumentale concorre qui a costruire un unico iper-strumento, amplificato e visto al microscopio nelle sfaccettature delle sue qualità foniche.
La ricerca condotta in questo brano ha dietro un’esigenza di osservazione di reazioni e percezioni legate ad esperienze personali; Erodìa, ossia “canto d’amore”, non ha nulla di celebrativo, ma è la rivisitazione, il ripensamento di un “vissuto intimo”, di una parte di sé; da cui anche l’esigenza dei cicli, del “ritorno su di sé”, sempre con una visione rinnovata, più profonda.
Sempre nell’ambito del mio principale interesse per la ricerca e scoperta di risorse foniche degli strumenti vi sono alcune esperienze che vi hanno apportato un forte contributo fra cui quella con Antonio Politano e la sua classe di Flauto dolce del Conservatorio di Losanna per il PRIME project: Paetzold Recorder Investigation for Music with Electronics.
Tale esperienza, oltre ad avermi fatto scoprire nuovi strumenti, i flauti dolci Paetzold, dalle caratteristiche timbriche più analoghe a strumenti a percussione, mi ha offerto una modalità di lavoro ideale per la fase di definizione e sviluppo dell’idea compositiva.
Ho infatti potuto usufruire di sessioni con interpreti di alto livello, interesse e disponibilità, per studiare da vicino il funzionamento degli strumenti, verificare il lavoro in itinere, apportare modifiche ed operare scelte consapevoli attraverso l’ascolto e il confronto diretto con l’esecutore.
Tutto ciò ha contribuito in larga parte a formare in me una coscienza critica del rapporto fra il mio pensiero creativo, la sua percezione da parte dell’interprete e la sua messa in atto.
Da questa esperienza sono nati: Kronarchìa per flauto soprano, due Paetzold e live electronics nel 2007, eseguito per la prima volta nella Radio Suisse Romande a Genève dal “Flatus Vocis Trio”, e Zahir per 6 flauti dolci e Paetzold, premiato nel “The modern recorder project 2008” del “Music Institute Darmstadt” ed eseguito nel “44° Internationale Ferienkurse für Neue Musik ad opera del “Quartet New Generation” di Berlino.
In Kronarchìa, dal duplice significato di “origine del tempo“ e “dominio del tempo“, ho cercato di creare diversi livelli di percezione della dimensione temporale orizzontale attraverso:
o elementi musicali simili (quindi riconoscibili) ma percepiti sotto un’altra luce grazie alla diversa natura di caratteri strumentali peculiari;
o il riutilizzo, in combinazione, di elementi alla base di sezioni già ascoltate, per costituirne altre “nuove” alla percezione globale.
In Zahir ho riutilizzato l’espediente formale dei cicli in espansione spiraliforme adottato in Erodìa, ma l’idea per l’organizzazione e lo sviluppo dei parametri del materiale viene in questo caso dall’ambito letterario, e nello specifico dal racconto di J. L. Borges Zahir tratto dalla raccolta L’Aleph. Il tema della presenza insistente di un’immagine, di un’idea che si fissa nella mente e pervade gradualmente ogni pensiero sino a divenire totalitaria, come un’ossessione che porti alla follia, mi ha portato a concepire una continua amplificazione di un gesto sonoro minimo e quasi statico nella sua esposizione iniziale attraverso un ritorno su di sé auto-rigenerativo fino all’ipertrofia.
Ancora dalla letteratura ho tratto la strutturazione di un brano per ensemble di 13 strumentisti, Ophélie, scritto nella primavera del 2010 per gli Ateliers di Composizione “Acanthes 2010” a Metz dove è stato eseguito dai solisti dell’Orchestre Nationale de Lorraine diretta da Jean Deroyer.
Il testo che vi sta dietro, inedito, di Pauline Duchêne, è molto breve e coglie il momento del suicidio di Ofelia. Quello che mi ha colpito leggendolo è stato il ritmo con cui è costruito. La transizione fra i due mondi, quello terreno da cui Ofelia si allontana e quello acquatico in cui entra, condotta gradualmente alternando la percezione di entrambi, diviene sempre più incalzante.
Due sono le situazioni sonore che ho costruito, molto diverse fonicamente, la seconda delle quali costituita prevalentemente di “non-suono”, miscelando tecniche di emissione con soffio nei fiati all’uso dell’arco sopra il ponticello negli archi che produce una sorta di fruscio. Le modalità di percezione sono nettamente differenziate, come nei due mondi fra i quali avviene il transito di Ofelia.
In un precedente lavoro per ensemble, Zyklon B, sempre per 13 strumentisti, datato inizio 2008, la scrittura risulta più concepita nel singolo dettaglio strumentale, coerentemente con il mio prevalente approccio iniziale alla ricerca sulle tecniche specifiche dei singoli strumenti. Mi sono comunque spinto a cercare interconnessioni per analogia fra colori ed articolazioni simili pur fra strumenti diversi per la creazione di oggetti sonori più complessi.
Anche in tale brano l’idea ha un’origine extra-musicale, uno stimolo di per sé molto forte: il tema della Shoah, in vista della celebrazione della Giornata della Memoria per un progetto del Conservatorio con il Teatro Comunale di Bologna. Volendo creare una situazione estrema, in cui trasmettere un’idea o sensazione analoga a quella stimolata da una forte pressione psicologica, mi sono imposto delle forti delimitazioni timbrico-formali:
- Staticità armonico-intervallare, una sorta di “gabbia” acustica (che si estremizza nel finale con la compressione massima di tutti gli strumenti sulla stessa altezza e la saturazione dinamica) per favorire un →
- Estremo movimento interno, uno stato entropico ottenuto con elaborazioni figurali, modulazioni timbriche (es. la distorsione dello spettro armonico di RE – nota cardine su cui si impernia la “armonia” del brano, nella parte centrale; una stasi apparente, come stato onirico-allucinato).
La mia ricerca sulla modulazione del suono non aveva per lungo tempo coinvolto il mio strumento, il pianoforte, se non in abbozzi e sperimentazioni intrise di stilemi altrui.
All’inizio del 2010 la partecipazione in qualità di pianista al “Concours International de piano d’Orléans”, nell’ambito del quale è contemplata la possibilità di presentare un brano proprio, mi ha offerto lo stimolo a rivolgere nuovamente la mia attenzione compositiva al pianoforte con maggior consapevolezza ed interesse grazie ad un nutrito background da strumentista solista, camerista ed in seno al FontanaMIX Ensemble e soprattutto in seguito all’approccio all’opera pianistica e cameristica di G. Crumb, la quale mi ha aperto nuove vie sulla scoperta di risorse foniche alternative del pianoforte.
In Sur l’aile du tourbillon intelligent, terminato in gennaio 2010, l’obiettivo prefissatomi era di istituire delle connessioni a livello percettivo fra le qualità foniche dei suoni prodotti con tecniche in cordiera e in tastiera attraverso relazioni di altezza, di registro e di articolazione (glissati in cordiera-elementi scalari in tastiera, pizzicati in cordiera-staccatissimi in tastiera) nelle transizioni fra i due contesti.
In linea generale l’indagine e la focalizzazione su elementi minimali, lo scavare al loro interno, l’osservazione del loro essere, del loro dispiegarsi e rivelarsi, del loro mutare intrinsecamente pur conservando la loro identità riflette il mio modo di pensare e percepire.
Sono sempre affascinato da un paesaggio che, apparentemente deserto da una prospettiva a distanza, nell’osservazione ravvicinata dei dettagli rivela internamente un brulicare di forme di vita in atto.
Formalmente l’esigenza dei cicli ha dietro una modalità di riflessione interiore, di ripensarsi riconoscendosi ma anche scoprendosi sempre mutato. Il ritornare su qualcosa, che è un ritornare su di sé, non è ossessivo, non è mai fisso.
Ho intenzione di proseguire la mia ricerca sull’utilizzo delle tecniche strumentali per modulare il timbro ed elaborare il materiale musicale dall’interno lavorando anche sull’integrazione fra diversi parametri (timbro, armonia, ritmo, etc.) e su interconnessioni analogiche fra colori e articolazioni di diversa natura strumentale; mi interessa attuare soluzioni formali impostate su diverse basi (struttura informata dallo sviluppo dei materiali o da elementi extramusicali, ad es. di ambito letterario) ed approfondire l’utilizzo di risorse come i mezzi elettronici, l’approccio ai quali mi ha già aperto nuove prospettive in linea con il mio interesse di indagine all’interno del suono.
Ritengo inoltre fondamentale il confronto con varie realtà, punti di vista, modi di pensare ed interpretare e la ricezione del mio lavoro con riscontri anche discordanti mi ha portato a considerarlo da un punto di osservazione più esterno, distinguendo meglio fra intenzioni e progettazione ed effettiva realizzazione e ricezione.
È stato altresì interessante il contatto con l’odierna eterogeneità di linguaggi ed esperienze, dal recupero di stilemi della tradizione ad operazioni con mezzi meno convenzionali, all’utilizzazione di tecniche e delle risorse elettroniche sia come strumenti di sviluppo che come centro e obiettivo compositivo.