ROBERT BRESSON Un condannato a morte è fuggito (1956)
Ciclo Cin'acusmonium
Auditorium martedì 21 ottobre 2014, ore 21.00
lingua originale con sottotitoli; Francese
I – Martedì 21 ottobre ore 21.00
Un condannato a morte è fuggito (1956)
(ore 18.30 Incontro con Mylène Bresson, moglie del regista)
interpretazione acusmatica di G. Cospito e D. Tanzi
Paese di produzione Francia, Italia
Anno 1974
Durata 85 min
Regia Robert Bresson
Soggetto Chrétien de Troyes
Sceneggiatura Robert Bresson
Fotografia Pasqualino De Santis
Montaggio Germaine Lamy
Musiche Philippe Sarde
Scenografia Pierre Charbonnier
Luc Simon: Lancillotto
Laura Duke Condominas: La Regina Ginevra
Humbert Balsan: Gauvain (Galvano)
Vladimir Antolek-Oresek: Re Artù
Patrick Bernhard: Mordred
Arthur De Montalembert: Lionel
“Lo sguardo dell’accettazione” è un ciclo aritcolato che prevede film proiettati con l’acusmonium, conferenze e mostre con l’obiettivo di far scoprire o rivedere l’arte cinematografica di Robert Bresson (1901-1999), protagonista della rinascita del film francese del secondo dopoguerra, tra i più importanti pionieri del rinnovamento del linguaggio cinematografico. Bresson, fin dall’inizio della sua carriera, ha preso distanza dai canoni tradizionali del cinema, perché li considerava troppo legati alla mimica e allo stile del teatro, e con ragione definiva il cinema un teatro di ombre, un “teatro fotografato” e senza vita. Per questo, Bresson nei suoi film si è messo alla ricerca della “vita” propria del cinema, da cercare non nell’enfasi della recitazione o nella bravura dei grandi attori, ma nei rapporti inattesi che nascono tra le diverse immagini e vengono poi associate e ordinate nella fase del montaggio. “Un’immagine in sé è neutra – afferma Bresson – , ma, improvvisamente abbinata a un’altra, incomincia a vibrare, la vita vi fa irruzione. A partire dal momento in cui l’immagine vibra, allora si fa del cinema. Quello che è bello in un film, ciò che io cerco, è un cammino verso lo sconosciuto… Un film deve essere qualcosa in nascita perpetua”. Per questo Bresson per i suoi film non sceglieva attori professionisti e al tempo stesso non gli piaceva essere chiamato regista o realizzatore: “girando un film, io non realizzo proprio niente. Prendo un po’ di realtà, dei pezzi di realtà, che poi metto in un certo ordine”.
Al centro della poetica di Bresson c’è l’uomo così come è, ripreso nel flusso reale della vita interiore. Il regista parla della tensione esistenziale dell’uomo in termini giansenistici: “la nostra vita è fatta di predestinazione e caso, ognuno va verso un certo punto. Non sa proprio niente di quello che accadrà laggiù. Ci arriva. E lì, deve scegliere. Sceglie. E giunge a un altro punto. E lì ancora, il caso gli fa scegliere un’altra cosa”.
Infine, Bresson è stato uno dei più attenti registi al rapporto suono/immagini. Per lui, il suono è intimamente unito alla vita delle immagini e dei personaggi di ogni film. Emergono così prospettive sonore sorprendenti, mai artificiali, ma di una concretezza piena di vita.
In collaborazione con l’Institut Français de Culture de Milan
Un condannato a morte è fuggito (1956)
Una facile... (in preparazione)